SPAZIO TADINI, Via Jommelli 24 - 20131 Milano - Tel.
02.261.96.84 - ft@spaziotadini.it ; ms@spaziotadini.it;
federicapaola@spaziotadini.it
 |
ORARIO APERTURA MOSTRA: dal martedì al
sabato 15:30-19 In occasione di eventi serali fino alle 22:30 |
PER LA PRIMA VOLTA A MILANO A
SPAZIO TADINI
LA MOSTRA FOTOGRAFICA
DI
GIORDANO MORGANTI
INAUGURAZIONE
MERCOLEDI' 27 OTTOBRE ore 18:30
Intervengono:
il Responsabile coordinamento e gestione mostre di Palazzo Reale
Domenico Piraina, il Critico Sandro Parmiggiani, lo Psicanalista
Giancarlo Ricci
con dibattito e
una performance a cura di OpificioTrame, Federicapaola Capecchi
|
Spazio
Tadini apre la
stagione 2010-2011 portando per la prima volta a Milano la mostra
fotografica
di Giordano Morganti “Psichiatric Hospital Frankenstein” ospitata a
Palazzo Te
a Mantova. Un’esposizione che fece molto discutere fino a rischiarne la
chiusura, per il suo titolo evocativo di mostruosità frutto più
dell’Uomo che
della Natura. Una mostra che pone spunti di riflessione sulla capacità
della
società di creare mostri, stereotipi, artifici per demonizzare
l’imperfezione
dell’essere umano. Un’occasione per osservare l’individuo attraverso la
lente
di un obiettivo fotografico che ci allontana dalla ricerca spasmodica
della
perfezione, del bello, dell’eterna giovinezza e della felicità e ci
impone l’accettazione
del limite, della follia, della malattia, la gestione del dolore con il
conforto che può dare solo la bellezza della verità, della carne in sé,
dell’osservare una Natura senza pensieri, espressione solo di cicli
stagionali.
Giordano
Morganti presenta
un triplice percorso “mente, corpo e anima”. Un viaggio trasversale che
va dai
ritratti di malati psichiatrici, alla raffigurazione dettagliata di
parti
anatomiche per poi sfociare in uno scenario agreste dove gli alberi
fanno da
protagonisti tra terra e cielo. Una mostra di forte
impatto emotivo raccontata,
illustrata e commentata dai critici Daniele Astrologo, Flavio Caroli,
Raffaele
Bedarida, Ando Gilardi, Roberto Mutti, Walter Schonenberger in un libro
di tre
volumi della Silvana Editore.
Un’opportunità
per l’associazione
culturale Spazio Tadini per riflettere sulla relazione tra la società e
l’individuo, in particolare su come viene costruito e stereotipato il
singolo
intrappolandolo in esistenze fittizie e funzionali all’esistenza e alla
sopravvivenza del gruppo sociale.
Nel
corso della mostra si svolgeranno dibattiti a
tema.
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Spazio
Tadini apre la
stagione 2010-2011 portando per la prima volta a Milano la mostra
fotografica
di Giordano Morganti “Psichiatric
Hospital Frankenstein” che fu esposta a
Palazzo Te a Mantova. Una mostra che fece molto discutere fino a
rischiarne la
chiusura, per il suo contenuto e per un titolo evocativo di mostruosità
frutto
più dell’Uomo che della Natura.
“Non
era stampato che il primo volume e già iniziarono i boicottamenti – racconta
Giordano Morganti – pochi
giorni dopo l’inaugurazione ci si
mise pure l’avvocato a intentare una causa al fine di far chiudere la
mostra e
di ritirare la pubblicazione del libro, asserendo che non avevo
autorizzazione
dei degenti: accusa che fui in grado di smentire all’istante. In tutto
questo
caos mi venne di grande aiuto Vittorio Sgarbi, da poco assessore a
Milan, che trasformò, il tutto in uno
scandalo. Fu
grazie a lui che, a mostra appena chiusa, attraverso
il tam tam su internet, il Comune di Mantova
fu costretto a riaprire i battenti poiché vi erano fuori più di mille
persone
desiderose di visitarla”.
Si
tratta di una mostra che pone
spunti di riflessione sulla capacità della società di creare mostri,
stereotipi, artifici per demonizzare l’imperfezione dell’essere umano.
Un’occasione per osservare l’individuo attraverso la lente di un
obiettivo
fotografico che ci allontana dalla ricerca spasmodica della perfezione,
del
bello, dell’eterna giovinezza e della felicità e ci impone
l’accettazione del
limite, della follia, della malattia, la gestione del dolore con il
conforto
che può dare solo la bellezza della verità, della carne in sé,
dell’osservare
una Natura senza pensieri, espressione solo di cicli stagionali.
Giordano
Morganti presenta
un triplice percorso “corpo, mente e anima”. Un viaggio trasversale che
va dai
ritratti di malati psichiatrici, alla raffigurazione dettagliata di
parti
anatomiche per poi sfociare in uno scenario agreste dove gli alberi
fanno da
protagonisti tra terra e cielo. Una mostra di forte impatto emotivo
raccontata,
illustrata e commentata dai critici Daniele Astrologo, Flavio Caroli,
Raffaele
Bedarida, Ando Gilardi, Roberto Mutti, Walter Schonenberger in un libro
di tre
volumi della Silvana Editore.
Un’opportunità
per l’associazione
culturale Spazio Tadini per riflettere sulla relazione tra la società e
l’individuo, in particolare su come viene costruito e stereotipato il
singolo
intrappolandolo in esistenze fittizie e funzionali all’esistenza e alla
sopravvivenza del gruppo sociale.
“Dopo
3 anni in cui rifiutai, in più occasioni, di esporre PH Frankenstein,
dopo
Palazzo Te a Mantova , sia in ambiti privati che pubblici – afferma
Morganti
- è arrivata quella che ho ritenuto
essere la giusta occasione. Spazio Tadini, superfluo a dire, è a mio
modesto
avviso lo spazio culturale privato per eccellenza. Un crogiuolo dove
tempo
–spazio si coniugano in un continuo divenire, qui, a Milano, in questo
luogo il
senso di esporre è Assoluto. Questa mostra doveva aver luogo più in là,
verso
Natale, poi le vicende non artistiche riguardanti l’associazione mi
fecero
ritenere i tempi maturi. Voglio anche dire che, purtroppo, tanti di
coloro che
hanno saputo della mia decisione di esporre PH Frankenstein a Spazio
Tadini, in
questo momento delicato, tentarono di dissuadermi e questo loro
incedere mi
convinse invece che la mostra era assolutamente da fare, qui e ora! Io
non sono
tenero, e in primis non lo sono con me,
ho una visione del materiale umano assai poco nobile e PH Frankestein
nasce
proprio a denuncia di questa nostra società malata e ferita che troppo
spesso
vive solo di sovrastrutture devastanti trascurando il vero vivere. La
maggior
parte delle persone è affetta da una malattia gravissima: credono di
essere
nomali (sempre che a questo a vocabolo si possa dare un significato
esaustivo)
è lì che abita la follia peggiore, quella che diabolicamente annidata e
sghignazzante attende di poter dare il meglio di sé, e questa follia
risiede
quasi sempre in quella persona dall’apparenza innocua ma dal pensiero
debole”.
“Se
osserviamo attentamente le fotografie di Giordano Morganti – scrive
Sandro Parmiggiani , nel testo
critico del libro edito dalla Silvana editore, pubblicato durante la
mostra di
Palazzo Te a Mantova scrive – vediamo che
lui tuttavia non è mosso dal desiderio “sociologico” di documentare la
nuova
condizione dei liberati, ma piuttosto dell’esigenza di indagare, di
scavare,
con una sorta di amorosa crudeltà, che mai sembra avere tregue, dentro
il volto
della persona, eternamente vario, cangiante, diverso, ma sempre
accumunato dai
caratteri rpofondi di quell’umanità che ne sanciscono l’appartenenza a
una
comune famiglia…. Ciò che interessa è la condizione perenne dell’umano,
che va
al di là di ogni contingenza, di ogni appartenenza sociale, razziale o
territoriale”.
Sulla
questione normalità interpretata nella
mostra“Psichiatric Hospital Frankenstein” Flavio
Caroli afferma:
“La
parola
"anomalia" naturalmente non significa nulla. La nobiltà di questi
percorsi (si riferisce a mente, corpo e anima n.d.r) è avventura e
tragedia (o
illuminazione, come dicono i buddhisti) e potenziale verità, come
d'altronde è
sempre la vita. Una verità che può in qualche misura essere capita solo
dall'arte; quella, nella fattispecie, di Giordano Morganti. Dal volto,
infatti,
la tragedia si irradia nel corpo. In questi fianchi anchilosati, in
questi
equilibri precari, in queste magrezze o obesità è contenuto il mistero
di un
destino che è segregato nel suo bozzolo, nella sua prigione di carne,
un
bozzolo che fa male e può essere più espressivo di tutte le parole del
mondo. A
questo punto, Morganti ha l'intuizione più bella e, se posso dire così,
più
sconvolgente. Punta l'obbiettivo sui dettagli, perché è lì, nei
dettagli, che
la natura infinite volte sceglie le vie per le quali le cellule
dovranno
evolversi: una via che - per destino - potrà essere brevemente
salvifica,
parzialmente felice, o mortale. Così, dita e denti dentro una bocca
possono
compartire l'immagine come un dipinto di Mondrian, e un gomito o
un'anca
possono vivere nello spazio come forme classiche irragionevolmente
perfette.
Quello, dice Morganti, è il "colpo di dadi" della crescita delle
cellule nello spazio. Tutto ciò rinvia però alla natura, al bosco, agli
alberi,
che crescono nel vento, e certamente hanno un'anima. Lì, il miracolo
delle
diversità è infinito, vive in cortecce fitomorfe, in tumori benigni e
bellissimi del legno, nel sontuoso schermo delle foglie divise fra la
luce e
l'oscurità. Misterioso progetto e appunto oscuro destino dell'Essere
che si
manifesta nell'universo conoscibile. Da tutto questo, Morganti trae
infatti una
conclusione sorprendente e affascinante. La chiave di ogni verità è
custodita
da Frankenstein, "mostro" (cioè apparizione) e re di ogni anomala
crescita cellulare. Dice Morganti che il Frankenstein del primo
millennio è
stato Gesù Cristo. Credo di averlo stupito il giorno in cui - a
conferma - gli
ho ricordato che la prima immagine in assoluto di Gesù Cristo fu quella
graffita da un suo nemico, che lo raffigurava con la testa di asino.
Frankenstein, appunto”.
Sulla
ricerca del bello,
dell’estetica e sul racconto della verità scrive invece Roberto
Mutti sulla mostra di Morganti intervistandolo:
“Oggi
tutti, ma soprattutto i giovani, sono molto
interessati ad apprezzare opere di alta densità estetica, quindi io ho
agito
proprio partendo da questo punto di vista: il mio lavoro è una sorta di
cavallo
di Troia grazie al quale, prendendo spunto dall’estetica, faccio
passare un
discorso sociale. Il risultato non è però estetizzante perché il libro
sulla
follia è desolante e senza pietà, proprio come la realtà vissuta dalle
persone
che ho fotografato con tanta difficoltà. Chi osserva si sente a disagio
di
fronte a quei volti certo non belli né delicati perché viviamo in una
società
che rifiuta ogni diversità classificandola come mostruosa”. Qui il
riferimento
è dichiaratamente letterario: Giordano Morganti cita Mary Shelley e il
personaggio da lei creato in “Frankestein”, una creatura buona
trasformata
dagli uomini in un essere malvagio. In effetti esiste più di
un’analogia fra il
lavoro letterario e quello di questo fotografo che dichiara di essere
molto
veloce nella fase di ripresa ma poi lento e meditativo in quella della
successiva elaborazione. “Basta sapere che ho dedicato cinque anni al
lavoro
sui corpi mentre quello sugli alberi l’ho iniziato nel 1989 e forse
l’ho finito
adesso. Per quanto riguarda la ricerca sulla follia, dai primi scatti
del
1977-79 sono passato a quelli del 1991-92 e ai più recenti del
2004-2007. Fra
riprese furiose di tre giorni e molte riflessioni, sono passati come
niente
trent’anni: questi sono i miei ritmi”. Questa dilatazione dei tempi,
così in
controtendenza rispetto a quanto abitualmente viene richiesto nella
nostra epoca,
permette di ragionare attorno a un tema complesso come quello della
contemporaneità e del suo significato: “Per me contemporanee sono le
opere che
restano tali senza subire i mutamenti del tempo e ancora hanno cose da
dirci.
E’ invece un errore confondere le opere contemporanee con quelle più
recenti:
Vittorio Sgarbi mi ha chiesto una volta perché mi capita di
privilegiare le
fotografie di trent’anni fa rispetto a quelle appena scattate, ma per
me il
problema è diverso perché in ogni immagine voglio ritrovare il contesto
che le
dia significato e fondamento. Avendo iniziato a realizzare le mie
fotografie
più importanti quando ero appena diciannovenne, non ho le paure di chi
si sente
vecchio se vengono pubblicati lavori realizzati anni fa. E’ che,
piuttosto che
uscire a ogni costo, semmai preferisco attendere fino a quando posso
mostrare
ricerche che ritengo complete e ben strutturate”. Tutti questi
discorsi, però,
non sono fini a se stessi perché Morganti parla senza mai perdere di
vista il
rapporto fra tecnica ed estetica: “Diceva André Kertész che ogni
fotografia è
fin troppo dimensionata rispetto alla nostra capacità di percezione e
questo
spiega lo strano effetto iperrealistico provocato dal digitale. Il suo
limite
è, paradossalmente quello che si ritiene un suo pregio, l’eccesso di
definizione. Questa è la ragione per cui non uso il digitale – visto
che non ho
finora cercato effetti di tal genere – ma anche perché mi sembra un po’
come
una donna liftata: se proprio ti piace, sposala”.
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RIFLESSIONI DI GIORDANO MORGANTI
|
DATA : 21
Agosto 2010
Leggo, almeno in parte, e
quel che dirò vorrei avesse quella lucidità che caratterizza il mio
pensiero
nei miei momenti migliori secondo il mio punto di vista, nei peggiori,
secondo
altri pareri.
Del resto
se ci fosse equità
sarebbe il silenzio.
Dopo tre
anni che rifiutai,
in molte occasioni, di esporre Psychiatric Hospital Frankenstein, dopo
Palazzo
Te a Mantova, sia in ambiti pubblici che privati, per ragioni delle
quali ora non
intendo informarVi è arrivata quella che ho ritenuto essere la giusta
opportunità.
“Spazio
Tadini”, superfluo a
dire, è a mio modesto avviso, lo spazio culturale privato per
eccellenza. Un
crogiuolo ove tempo-spazio si coniugano in un continuo divenire, qui a
Milano,
in questo luogo il senso di esporre è Assoluto.
Questa
mostra doveva avere
luogo più in là, verso Natale, poi le vicende riguardanti Francesco
Tadini,
presero il sopravvento, così che con Melina Scalise, nuovo presidente
dell’
associazione, decidemmo che i tempi erano maturi.
Voglio
anche dire
che,purtroppo , tanti di coloro che hanno saputo della mia decisione di
esporre
P. H. Frankenstein a Spazio Tadini, in questo momento delicato,
tentarono di
dissuadermi e questo loro incedere mi convinse invece che la mostra era
assolutamente da fare qui e ora! Tengo a precisare che questa mostra è
sì a
sostegno di questo importante spazio, ma elude dalle vicende
giudiziarie
riguardanti Francesco.
Io non
sono tenero e, in
primis non lo sono con me, ho una visione del materiale umano assai
poco nobile
e P. H. Frankenstein nasce proprio a denuncia di questa nostra società
malata e
ferita che troppo spesso vive solo di sovrastrutture devastanti
trascurando il
vero vivere.
La
maggior parte delle
persone è affetta da una malattia gravissima: credono di essere
normali! Sempre
che a questo vocabolo si possa dare un significato esaustivo è lì, che
abita la
follia peggiore, quella che diabolicamente annidata e sghignazzante
attende di
poter dare il meglio di se’, e questa follia risiede quasi sempre in
quelle
persone dall’apparenza innocua ma dal pensiero debole.
Ora io
qui non intendo, e
non è certo questa la ragione di oggi, fare “j’accuse”, bensì il mio
obbiettivo
è semmai quello di esporre meglio che posso le ragioni che mi hanno
portato a
legare differenti ricerche che avrebbero potuto benissimo avere una
vita
propria.
Molte
volte il vivere e il
lavorare ci portano a un bivio e, nel mio caso, per pubblicare P. H.
Frankenstein dovetti “sacrificare” tre ricerche che i più avrebbero
preferito
editare separatamente e in tre tempi
distinti.
Ricordo
che quando sentii
per la prima volta la necessità di realizzare questo ambizioso progetto
mi
chiesi se poi sarei stato capace di sostenerlo e se altri mi avrebbero
permesso
di esporlo e condividerlo.
Non era
stampato che il
primo volume e già iniziarono i boiccotamenti da parte di un noto
collega che
tentò, con tutta la sua forza, facendo pressione sull’assessore ai beni
culturali di Mantova del quale è grande amico, di convincerlo a non
farmi
esporre le opere a Palazzo Te, cosicchè io dovetti faticare assai per
riconquistarlo e ottenere la mostra.
Ma la
cosa non finì lì, anzi
pochi giorni dopo l’inaugurazione ci si mise pure l’avvocato di parte
dell’ultimo ricovero psichiatrico dove avevo lavorato al completamento
della
mia ricerca a intentare una causa al fine di far chiudere la mostra e
di
ritirare la pubblicazione del libro, asserendo che non avevo
autorizzazione dei
degenti, un’accusa che potei smentire all’istante.
In tutto questo caos mi venne di grande
aiuto Vittorio Sgarbi, da poco assessore
a Milano che trasformò il tutto in uno scandalo e grazie al quale, a
mostra
appena chiusa, il tam tam su internet costrinse il Comune di Mantova a
riaprire
i battenti poichè fuori attendevano più
di mille persone desiderose di visitarla.
Un po’
come ne “la variante
di luneburg” di Murensig, tentarono di giocare la partita finale per
far cadere
trent’anni di mie ricerche nel baratro
da cui uscirne mi sarebbe stato impossibile, ma questa “povera e
sciocca” gente
non aveva mai giocato sulla scacchiera che produce scosse elettriche a
ogni
errore come invece io ho sempre fatto per sopravvivere e sottovalutando
le mie
capacità nel gestire “certe cose”, si contentarono di un gioco privo di
conoscenza e di intelligenza, eppure erano in tre: un avvocato, il
presidente
della fondazione psichiatrica e il loro capo ufficio stampa; tre,
proprio come
i tre porcellini.
IL MIO
MODO DI LAVORARE
Io amo
che le cose giacciano anche per un tempo
lungo nel
silenzio, in questo tempo io studio nuove mosse, eh sì, proprio così,
poiché io
non credo nell’artista fine a se’ stesso incapace di far altro che
produrre
idee nel migliore dei casi, invece credo
in una certa coscienza imprenditoriale. I miei
riferimenti non sono ne’
il Caravaggio ne’ Picasso, ne’ Rauschemberg, tanto per citarne, ne’
Hirsch,
bensì, e lo dissi già nel 2007 quando presentai P. H. Frankenstein a
Palazzo
Te, sono persone come Sergio Marchionne.
Poco
frequento le
inaugurazioni d’Arte invece trovo estremamente curioso e affascinante
il mondo
della finanza e dell’impresa. E’ il loro modo di operare che mi ispira,
è da
loro che imparo ed è con loro che cerco
di trascorrere ogni istante libero.
Forse vi
ho deluso, ma è fra
i compiti di un artista deludere e l’arte stessa è un angolo di mondo
dove la
morte vale più della vita. E’ morendo che creiamo l’unione tra i ceti e
le
specie, la vita è un grande campo di battaglia creato su misura della
sua
naturale conseguenza: la morte.
E poi
cosa di più
affascinante del mistero che l’avvolge? Ella è l’unica certezza dalla
quale
nessuno può sottrarsi. E’ la morte che ci accompagna per tutta la vita,
lei è
la nostra vera madre e amante e moglie e sorella ed è con lei che prima
o poi
faremo di conto, tutto il resto, amori,
passioni, danaro sono il nulla
poiché nulla di queste cose trapassa con noi. Queste cose tutte, sono
solo
compagne infedeli che restano altrove quando noi ce ne andremo.
Io alla
morte ho dedicato
una ricerca composta di alcune centinaia di immagini. Presto
pubblicherò un
grande volume, un’opera che avrà le caratteristiche di P. H.
Frankenstein.
Io lavoro
solo, ossia mi
occupo di ogni dettaglio anche fosse l’ultimo per importanza , non ho
assistenti, ne’ stampatori, ne’ agenti o latro. Cerco, produco, scatto,
organizzo e soprattutto mi occupo delle relazioni pubbliche.
A volte
però mi rinchiudo
nella mia casa-studio per mesi in un isolamento quasi totale,
lasciandomi
contaminare solo dai miei pensieri, i quali vengono interrotti e per
pochi
istanti dalla presenza dei soggetti che voglio fotografare.
Il
pensare è la cosa più
totale che io conosca e ad essa affido la mia coscienza. L’azione,
quella che
rappresenta l’attimo decisivo, la lascio all’insondabile che è poi
l’alchimia
perversa che, priva di controllo e sovrastruttura, determina quella
strana
magia che è la “creatività” alla quale non rivolgo domande poiché è un
dono che
ho ricevuto a cui devo essere grato e ingrato ma è un dono
e a un dono non si fanno richieste.
Domande e
forse risposte
fanno parte di un mondo dal quale preferisco essere straneo il mondo
della
psichiatria, io invece trovo più intrigante porsi domande, poiché se ci
fosse
una risposta e se questa risultasse esaustiva, la domanda avrebbe
trovato il
suo sepolcro, la curiosità grande arma dell’intelletto,
cesserebbe di nobilitarsi e
non procurerebbe quell’immenso piacere che è l’attesa.
Io
attendo da tempi remoti,
tutto, e dal tumulto delle questioni che alberga in me traggo sempre
nuove
domande ma mai risposte. Guai se qualcuno cercasse di ristabilire
ordine in
quei tumulti. Ciascuno di noi dovrebbe invece coltivarli con dovizia
poiché i
tumulti sono la massima fonte di energia del pensiero ed il coabitarci
ci
permette di partecipare all’evoluzione della specie. Il credere di aver
ristabilito
ordine nei nostri trascorsi è utilmente inutile tanto quanto il cercare
di non
respirare sperando di morire.
Considero
in primis P. H.
Frankenstein e così ogni altra mia vita un fertile bacino di
provocazioni, una
questione aperta fatta di molteplici domande che vedrebbero nella
eventuale
risposta il declino della loro essenza.
Nella
sostanza quando
realizzo immagini il mio compito è materializzare pensieri che poi
vengono attraversati
da infinite domande, le quali, sono valore aggiunto alle mie opere.
Domande
alle quali seguono altre Domande, il risultato è nelle Domande, la
risposta è
solo presunzione!
Se
poniamo la stessa domanda
a cento persone otterremo cento risposte differenti, questo significa
che la
risposta non c’è! Non può esserci, la risposta è la cosa che io chiamo
il
“punto morto”, l’assenza, la “virtù perduta” per un’ansia in meno e un
deficit
in più!
Ma se
proprio mi sforzassi
di avere qualche simpatia per la Psichiatria, il mio pensiero cadrebbe
su Jung
ma per due ragioni che corrono laterali
al suo lavoro: la passione per la natura e soprattutto i suoi studi
sull’occultismo per i quali fu ovviamente deriso dai suoi stessi
colleghi. Ho
per lui una particolare ammirazione poiché è sempre stato fino alla
fine della
sua lunga vita un outsider.
Tornando
al punto, P. H.
Frankenstein ha numerosi nemici e questo mi gratifica assai; sono tutti
quegli
esseri “ allineati” come morti nella loro bara che cercano somiglianze
credendosi però differenti.
L’artista
crea per
distruggere e distruggendo pianifica nuove visioni, anche se il massimo
dell’aspirazione di un artista è la “fosforescenza” così che mai ne’
luce ne’
buio possano rendere invisibile la sua opera.
Io che
peraltro preferisco
definirmi “ Ricercatore”, o semplicemente Fotografo sapete come quei
topi da
biblioteca ai quali poco o nulla sfugge, prediligo invece “l’opera
diafana” che per essere percepita
necessita di un fondo nero impalpabile e sospeso, come la vita stessa
quando
cerca l’abbraccio della morte.
Ho sempre
creduto nel segreto
delle cose, nel custodirle, per poi mostrarle un po’ dietro l’angolo.
Quasi
sempre le mie ricerche vengono alla luce dopo venti o trent’anni dal
momento
che le ho iniziate. Io non credo nella
contemporaneità bensì penso che un argomento per essere valido
necessiti della
“ prova del fuoco”: il tempo.
Tutti
corrono, io rallento,
mi muovo come in una danza che non conosce ne’ regole ne’ ritmi è essa
stessa
che muove me, nella sua imperscrutabile essenza tribale.
A volte
scelgo i contatti
delle immagini che ho scattato sulla riva di un lago e ne vedo la
ritmica
immaginando di scendere i pendii fino a sfiorarne il fondo senza mai
però
volerlo raggiungere, un po’ come è la vita: IL TUTTO DI UN QUASI.
Mi
permetto ora di
aggiungere alcuni miei pensieri rivolti a chi investe il proprio danaro
nell’acquisto di opere fotografiche ed essendo questa forma di
investimento in
espansione, anche perché l’abbordabilità oggi di questo prodotto
rispetto ad
altre forme espressive di investimento è nettamente vantaggiosa e fa
comunque
sperare all’investitore in un buon affare. Ne sono prova i valori che
tali
opere hanno assunto in pochi anni ma ancora lontani dai valori di certa
pittura.
Io stesso
colleziono
fotografie e il mio maggior rammarico è solo nel non averne acquistate
mai
abbastanza. Alcune di queste fotografie in meno di 15-20 anni hanno
addirittura
centuplicato il prezzo pagato. Ma occorre prestare attenzione a
situazioni che
spesso hanno portato il collezionista al magro affare, solo per fare un
esempio
le fotografie di reportage e in genere quelle legate alla professione e
non
alla ricerca.
Io stesso
vendo quelle foto
che io chiamo “i lavori”, nel mio caso
ritratti a personaggi famosi che per più di trent’anni ho scattato e
pubblicato
su Vogue, Sette, Il Venerdì di Repubblica, Harpés Bazar, e che spesso
sono
state anche importanti copertine a un decimo del prezzo a cui vendo le
fotografie di ricerca, ed è ovvio che sia così.
Queste
fotografie non sono
figlie del sangue che si versa quando l’impegno e l’ingegno sono totali
come
nella Ricerca, quelle fotografie nascono da committenze certe e ben
retribuite
almeno così è sempre stato per nel mio caso, dove spesso chi le scatta
riceve
ossequi, onori e molto danaro.
Il
reportage poi come anche
la fotografia di architettura un po’ troppo in voga in questi tempi a
meno che
non siano RICERCA PURA , ma nella maggior parte dei casi sono
committenze da
parte di architetti, enti pubblici o privati, o patinate pagine di
riviste del
settore, non dovrebbero neppure venir prese in considerazione dai
galleristi
ne’ dai collezionisti, se non a buon prezzo!!
Quel
materiale, oggi anche
troppo pagato, sarà quasi certamente un flop!
Io ho
sempre tenuto separate
le due cose: committenze da una parte, ricerca pura dall’altra. E ho
voluto fin
da subito dare alla ricerca valore maggiore unitamente a una tiratura
molto
stretta e ai “lavori” solo tirature aperte a prezzi contenuti. Inoltre
da
quando ho iniziato a concentrarmi sul lavoro di ricerca pura ho
interrotto
qualsiasi RAPPORTO PROFESSIONALE DI COMMITTENZA.
Fortunatamente
il mercato
offre anche materiale di alto livello che io stesso acquisto e se mi
posso
permettere un consiglio che va a mio discapito……….. non acquistate mai
direttamente dall’Artista ma sempre e solo attraverso i galleristi
specializzati
e seri e fortunatamente ve ne sono.
Il nostro
è un settore che
“brucia” in tempi veloci chi vi si affaccia senza i giusti propositi,
quindi
cercate di fare i vostri investimenti dai galleristi più seri, magari
da coloro
che hanno un certo prestigio. Un gallerista serio non rappresenterebbe
mai un
Artista mediocre!
Un
Artista che non riesce a
farsi rappresentare da nessun gallerista o è un genio o, come è ovvio
che sia,
non ha le qualità necessarie per essere!! E questa seconda ipotesi ha
qualche
avvallo in più.
Prego
vivamente chiunque
oggi inizi o prosegua una collezione di foto o altro di esigere un
documento
che attesti da quale ente, galleria o museo il pezzo acquistato
provenga.
Credetemi nel tempo i pezzi acquistati che avranno tale certificazione
assumeranno valore maggiore e maggiore possibilità di scambio o di
vendita. Non
comprate mai se l’opera non ha questo attestato. Così che certe
collezioni
“clandestine” scompaiano, o comunque anche esistendo vengano
screditate. Il
loro valore etico, morale ed economico finalmente scomunicato.
RISTABILIAMO PER
CORTESIA LE REGOLE! Quest’ultima frase l’ho presa a prestito da Massimo
D’ Alema
e mi è sempre piaciuta tanto!.......sicuramente di più di “MI CONSENTA”.
Fortunatamente
la Fotografia
sta cambiando, la vecchia scuola, e mi riferisco a quella anni ’70,
partecipa
sì ancora alle grandi mostre museali, ma arranca nel mercato e i
galleristi si
stanno accorgendo della difficoltà a venderne le opere. Al vecchio
collezionista
fossilizzato e ancorato a quei modelli si sta sostituendo un
collezionista
diverso, attento a ciò che di nuovo viene prodotto e non mi riferisco
al
digitale .
Se è pur vero che il vecchio collezionista mai
acquisterebbe un’opera di altro nome che
non i SOLITI, altrettanto ma in senso
inverso fa il NUOVO COLLEZIONISTA!
I primi
segni di debolezza
io li avvertii, proprio quando questo gran nome della fotografia anni
‘70
tentò nel
2007 di non farmi
esporre a Palazzo Te. Se uno arriva a
boicottare un altro è perché ne ha timore!
E
comunque anche i
collezionisti storici dovranno prima o poi adeguare le loro collezioni
ai tempi
magari passandole di mano, altrimenti saranno solo “collezioni di un
certo
tempo”.
Del resto
il mondo dell’Arte
è pieno di queste stranezze, sembra che tutti, siano paladini di “SEGNI
FUTURI”, poi diventano CONSERVATORI INCALLITI! Per fortuna
esistono
i cambi generazionali!!!
E poi c’è
la questione delle
tirature numerate di un’opera e, se poi sarà o non sarà vera, a costoro
vorrei
dire che oggi esistono le copie
fotografiche numerate che se garantite da seri galleristi sono
più che
attendibili ed anche qui una certificazione ne garantisce la
veridicità, ma
provate a pensare anche solo tornando indietro di un decennio dove
questo
meccanismo qui in Italia non esisteva ad esempio, “i Giacomelli”,
nessuno sa
quante copie esistano! E come per lui per tutte le fotografie degli
anni ’50
fino al duemila, poiché prima il problema non sussisteva. Collezionare la NUOVA FOTOGRAFIA è invece una garanzia
almeno a questo riguardo.
Qualcuno
potrebbe sostenere
di avere le “vintage” del tale e del tal altro, ma nessuno sa di queste
vintage
quante ce ne siano. E poi diciamoci la verità, se un Fotografo è
davvero dedito
con tutta la passione possibile al proprio lavoro mai dovrebbe vendere
le
proprie vintage, semmai come farò io, creare una fondazione a gestione
privata
con atti legali precisi nei quali si
creino le necessarie condizioni di garanzia affinchè “dando ad esempio”
valore
zero” alle opere in questione queste non possano essere vendute
oppure
anche costituendone “esclusivo valore in loco”!
Molte
volte le stampe
vintage nascono dalla fretta di affermare un’opportunità quindi non
possiedono
di certo la qualità delle copie “a numerazione” nate solo dopo lunghe
riflessioni. E poi per contro vorrei anche dire due cose di questa moda
delle
stampe di grande formato alcune anche di parecchi mq!!: Artisti
produciamo
cosa? Carta da parati o riflessioni?
Con
Melina Scalise ho deciso
di partecipare alla sua idea di Mostra Collettiva Natalizia portando
una
fotografia di piccole dimensioni, magari un po’ preziosa, ma piccola.
Io stampo
personalmente ogni
mia fotografia da quando all’età di Nove anni iniziai questa avventura
e vi
posso assicurare che nessuno se onesto potrebbe affermare che in quei
formati
giganti ci sia qualità di stampa e sentimento e non mi si venga a dire
che la
stampa digitale invece…… NO, LA STAMPA
DIGITALE e tutta la ripresa digitale sta alla fotografia COME IL BUIO
ALLA LUCE.
PERALTRO I SIGNORI COLLEZIONISTI farebbero bene a prenderne le distanze
se non
altro per il fatto che non se ne conoscono
le caratteristiche di stabilità nel tempo e che i
test “a invecchiamento
rapido pilotato” non hanno alcun fondamento con la realtà!
Nella
stampa digitale che
oggi prende pure a prestito dalla Vera Fotografia nomi di procedimenti
antichi
che originariamente sono di una difficoltà estrema, ma di superba
qualità, un
esempio? “STAMPA AL CARBONE”, che di tutte le sue proprie
peculiarità nessuna è contemplata in quelle
digitali e il tutto si risolve in stampe piatte, noiose, meccaniche
fatte su
carta opaca e ruvidina. Tutto qui.
Vado a
chiudere questa
lettura un po’ cattiva con una riflessione: E’ nella mia natura oppormi
a
tutto, perfino a quel che io stesso penso e sostengo ma c’è una cosa
nella
quale credo profondamente e alla quale mi è impossibile oppormi, l’
Arte. Ella
è una grande anima della quale noi Artisti ne siamo i TUTORI DESIGNATI,
e
questa anima che vive in noi è solo un lieve sospiro così leggero che
può
volare ovunque e lasciare traccia indelebile nel pensare dell’Uomo, in
fondo la
vita reale non esiste, la dobbiamo
inventare di volta in volta, sì proprio così, come in una farsa, che di
reale ha
solo il proprio fantasticare.
Ciao a
tutti e grazie di
cuore.
Giordano Morganti
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BREVE BIOGRAFIA
Giordano
Morganti
(Milano, 1956), si dedica fin da giovane alla fotografia; fra i
soggetti
privilegiati della sua indagine, che sfiorano l’ambiguità e
l’emarginazione, un posto rilevante è occupato dal mondo dei
manicomi e dai suoi abitanti. Sue fotografie sono state esposte in
occasione di
mostre di rilievo, come “Il Male” (Torino 2005), “Il ritratto
interiore” (Aosta
2005), curate entrambe da Vittorio Sgarbi, e “Il volto della follia”
(Reggio
Emilia 2005-2006), curata da Sandro Parmiggiani.
CALENDARIO
MOSTRE
1975 Milano
Mostra “LA DONNA”
Galleria Molino delle Armi.
1980 Milano
Sicof “THE BODY” a cura di
Lanfranco Colombo.
1981 New York
Mostra itinerante “12 FOTOGRAFI
ITALIANI” Monas Hierogliphica.
1982 La Spezia
Centro Allende “GRANDI MAESTRI –
i fotografi di Vogue” a cura di Alberto Nodolini, 5 marzo 1982.
1983 Pechino
Museo d’Arte Moderna “MOSTRA
REPUBBLICA CINESE”, donazione Lanfranco Colombo.
Milano
“THE BODY” nella chiesa
sconsacrata di Via Piero della Francesca.
1984 Berlino
Mostra Storica “LA FOTOGRAFIA
TEDESCA”.
1985 Barcellona
Mostra “ 1° BIENNALE D’ARTE “
Catalogo ufficiale.
1987 Milano
Mostra a
Palazzo Reale
“ L’UOMO VOGUE 20 ANNI DI RITRATTI “ Catalogo Condé Nast ottobre.
Milano
Sicof
Mostra “DONNE
SENZ’ANIMA” a cura di Lanfranco Colombo.
1988 Milano
Mostra Galleria San Fedele
“NIENTE” a cura di Alberto Piovani.
1991 Milano
Mostra
Galleria
Credito Valtellinese “ AMNESTY INTERNATIONAL “ curata da Giovanna
Calvenzi.
1993 Milano
Mostra
presso la
biblioteca di Via Senato “ FONDAZIONE DI
FOTOGRAFIA “ dedicato a Lanfranco
Colombo.
Bergamo
Mostra “
ACCADEMIA DI
FERRARA “ Galleria d’Arte Moderna.
1994 Milano
Mostra
Galleria San
Fedele “ NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE “ curata da Daniela Palazzoli. Dal
19
gennaio al 12 febbraio.
Roma
Mostra “
PROVINI
D’AUTORE “ Centro Culturale Francese, P.zza Navona. Catalogo Federico
Motta.
Dal 18 febbraio al 12 marzo.
1995 Varese
Mostra “ RITRATTI “ presso Rossi
di Albizzate, curata da Alberto Piovani.
Milano
Teatro Franco Parenti “ STORIE
DI DIPENDENZA “ , dal libro di Emilio Tadini.
Roma
Mostra “ RITRATTI ” Mostra
d’Arte Moderna, curata da Franco Lefèvre .
1997 Milano
Mostra Multimedia Gallery. Dal 7
al 25 febbraio.
2000 Milano
Mostra della Rivista “ CITTA’ “.
Galleria Antonio Iannone. Dal 1 al 15
ottobre.
2001 Mantova
Mostra Galleria Bernardelli “
COME VEDONO I CANI “ antologica. Dal 8 settembre al 7 ottobre.
2002 Roma
I° Festival
della
Fotografia, presso la
Galleria “ La Nuova
Pesa
“ collettiva con Jannis Kunellis e Rebecca Horns. Dal 25 maggio a
novembre.
Roma
Campidoglio
“SENZA
FISSA DIMORA” 22 giugno.
2003 Milano
Pelota, mostra collettiva
durante la “ Fiera del Designer “ con 11 immagini, maggio.
Roma
III°
Festival della
Fotografia “ Temple University “ “ CHI SIAMO “. Dal 17 maggio al 22
giugno.
Catalogo Federico Motta.
Todi
IV°
Festival Città di
Todi “ NATURA MORTA: RIFIUTI “. La mostra tratta della Follia, curata
da Simona
Marchini. Dal 18 luglio al 31 agosto.
Mantova
Mostra
Galleria Area
Bernardelli “ RESURREZIONI “ e catalogo, dal 6 settembre al 8 ottobre.
Milano
Mostra
personale “ IL
VOLTO “ curata da Toti Melzi. Fondazione Collegio Università, 29
settembre.
Palermo
“ DA
TIZIANO A DE
CHIRICO e altre solitudini“ Albergo
delle Povere, dal 11 ottobre al 11 gennaio 2004.
2004 Milano
Asta Sothebis “SCATTI PER BENE
“. Catalogo De Agostini. Dicembre 2004.
2005 Torino
“ IL MALE “
mostra
curata da Vittorio Sgarbi, Palazzina di Caccia Stupinigi, catalogo
Skira.
Aosta
“ RITRATTO
INTERIORE “
mostra curata da Vittorio Sgarbi, dal 31 maggio al 2 ottobre. Catalogo
Skira.
Milano
Asta
Sothebis “SCATTI
PER BENE “. Catalogo De Agostini. Novembre.
Milano
Mostra “ I
SORDI E LA
FISIOGNOMICA “
sottotitolata “ il silenzio e la parola “ per lo spazio dedicato alle
mostre,
Libreria Feltrinelli di Milano, dal 9
novembre al 8 dicembre. Inaugura il 14 novembre onorandosi dell’
intervento
dello storico dell’arte Flavio Caroli.
2006 Lodi
Mostra dal
titolo “
L’INQUIETUDINE DEL VOLTO - da lotto a
Freud da Tiziano a De Chirico”, curata da Vittorio Sgarbi, presso le
sale della
B.i.p. Italia City (Banca Italiana Popolare), è presente un’opera
fotografica.
Dal 11 novembre 2005 e chiude il 12 febbraio 2006, catalogo Skira
editore.
Reggio
Emilia
“ IL VOLTO
DELLA
FOLLIA “ a Palazzo Magnani, curata da Sandro Parmigiani, dal 12
novembre 2005
al 22 gennaio 2006, si tratta della più grande mostra collettiva sulla
malattia
mentale con una raccolta di circa 500 scatti a partire da fotografie
dell’ottocento fino alla contemporaneità. La mostra è in un grande
catalogo
edito da Skira.
Varallo
Sesia
Nelle sale
di Palazzo
D’Adda una mostra personale, a dittico.
Titolo: “ ESTERNINTERNI “. Per il trentennale dell’ Alpaa. La mostra
inaugura
il 9 luglio.
Milano
Galleria “
Brera 5 “
di Montrasio, mostra personale inaugura il 30 novembre: “ MIND’S
FRIENDS: THE
NEW MONARCHY “. Catalogo mostra.
Presentazione
I° libro
“ OPERAZIONE FRANKENSTEIN “ in tre volumi. Silvana editoriale.
Bar
Giamaica mostra
curata da Pedrazzini. “ MINDS WALLS “ inaugura il 15 novembre.
2007 Mantova
L’assessorato
ai beni
culturali della città di Mantova per la serie “ I Grandi Fotografi “
realizza
una mostra occupante le sale di “ Palazzo Tè “: per la prima volta sono
esposti
i 34 anni di lavoro di ricerca.
Denver
“ IL VOLTO
DELLA
FOLLIA “ diventa mostra itinerante con prima tappa Denver poi Parigi.
Parigi
ultima tappa.
2008 Genova
Mostra Galleria VisionQuest
“COLLETTIVO 180”
dal 10 ottobre al 30 novembre
Milano
Mostra Galleria Cà di Frà
“POLAROID” da novembre a gennaio.
Verona
Arte Fiera:
Galleria
Movimento, interpretazioni di “ P.H. Frankenstein “ eseguite da
Giovanni Sesia
e tre mie opere originali.
2009 Siena
Mostra
Museale
Fondazione Monte dei Paschi “ARTE GENIO E FOLLIA – IL GIORNO E LA NOTTE
DELL’ARTISTA” Ideatore e
Curatore Mostra VITTORIO SGARBI dal 30 gennaio al 21 giugno, catalogo
MAZZOTTA.
Genova
Mostra personale Galleria
VisonQuest “BLOOD ON BLOOD” dal 01 ottobre al 29 novembre.
Milano
Dibattito presso la sezione di
Filosofia del’Università Statale, argomento P.H.Frankenstein il 13
maggio,
relatore prof. Massimo Rizzardini.
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SPAZIO
TADINI Via Niccolò Jommelli 24, 20131 Milano tel+39 02 26 19 684; +39
366 45 84 532
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