|
|
Mario De Leo
di Claudio Rizzi
La strada ove si apre lo studio di Mario De Leo è dedicata a Mosè Bianchi e la porta che separa l'atelier dalle nebbie esistenziali di Lissone è costellata da vetri vivi di colore. Buone premesse. Lui apre con l'espressione "un po' così", tra stupore e sorriso, tra timidezza e dialogo immediato. Si muove con rapida lentezza, come camminasse sulle punte senza troppa convinzione. Eppure, a passi brevi ma costanti, ha percorso lunghe distanze. Poi si scopre che parla come cammina, frasi brevi, immagini di grande sintesi e rapide pennellate a dipingere una storia. Quasi fotografie inattese per rievocare una memoria o espressioni icastiche per definire un'emozione. Come le sue canzoni. Musica e pittura sono le sue passioni, punti cardinali della rotta. Chi sia nata prima non si sa ma insieme hanno plasmato la sua vita. De Leo ha scritto musica e parole, ha calcato palcoscenico e registrato in radio e televisione, ha lavorato per le scuole e per la tutela della tradizione. Recupera patrimoni dispersi nei secoli o dimenticati nella corsa all'esasperazione del presente, rievoca il Sud che gli appartiene ma che lui non compiange mai. 94 La chitarra è in primo piano, anche fisicamente, nello studio, a portata di mano come pennelli e colori, è uno strumento primario, necessita come gli altri, complementare e fondamentale nella condivisione del quotidiano. Un amico musicista è frequentatore assiduo dello studio, anzi quasi parte integrante e non è raro che Mario lasci tela e pittura e intoni con Giancarlo l'improvvisazione musicale. Allora si sfogliano capitoli diversi, che si tuffano nell'antico e approdano a moderne ballate, che ricollegano la storia della musica e la storia della gente. Il tempo è protagonista nel mondo di De Leo. Dalla traccia alla scrittura, dal consumo allo scarto del progresso. Così la figura ieratica e primordiale può convivere con l'oggetto scultura derivante da tecnologie rapidamente invecchiate e già relegate nell'obsoleto. Reperti di contemporaneità e simulazioni di antico animano lo studio tra surrealtà e citazioni storiche. L'era della comunicazione trionfa nei materiali utilizzati con chiara allusione ma guadagna una dimensione poetica grazie al distacco indipendente e ironico di De Leo. Si è definito "contadino tecnologico" ed è un po' come dire che anche la tecnologia, per produrre bene, deve essere lavorata come la terra. Lui lo sa, perché braccianti, lavoratori ed emigranti, figure del suo patrimonio musicale, concorrono a testimoniare storia e luoghi e dalle note della chitarra trasferiscono forza nei segni e nei colori sulla tela. Un percorso intenso, dal Sud al Nord, dalla fabbrica alla libertà, dall'utopia alla maturità. E un sorriso sempre, di ospitalità e di fiducia. Anche nei giorni delle campane buie, un lampo di energia. Serenità di soddisfazione e gratitudine al destino: che ha aperto le porte della vita e concesso di condividerne l'essenza..
|
|