Alik Cavaliere

E. Tadini, Alik Cavaliere. Giochi proibiti, cat. mostra (Galleria Bergamini, Milano, 21 novembre – 4 dicembre 1959), [s.n.], [s.l.], 1959

 

  

  È raro vedere una intera mostra di scultura organizzata intorno ad un unico tema. Nel caso di Cavaliere l'ostinata passione che è alla base: di questa scelta ci si mostra nel completo svolgimento di un preciso nucleo poetico. I «giochi proibiti» diventano nelle sculture di Cavaliere un tema compiutamente drammatico. Di una drammaticità non tanto svolta in una dinamica di superficie: quanto colta ed espressa nei semplici, elementari nodi vitali di una certa situazione. Cavaliere ha rinunciato deliberatamente, mi sembra, ad ogni tentativo di rapida sintesi nel racconto. Si è impegnato piuttosto in una specie di analisi insistita di tutte le possibilità vitali inerenti alla storia che ha voluto rappresentare. Ed è stato portato a scoprire in tal modo come un semplice fatto reale si riveli per natura disposto in una serie complessa e organica di rapporti. Il lato più interessante di queste opere mi sembra consista nel rifiuto immediato opposto da Cavaliere ad una serie di possibilità formalistiche. Egli non ha voluto svolgere una serie di «variazioni» formali. Ha piuttosto cercato di seguire con la sua scultura il ricco movimentato disporsi di un fatto reale entro tutte le intime dimensioni del suo accadimento. Ognuno di questi pezzi esprime un «passaggio» del personaggio lungo l'infinita traiettoria di un unico, semplicissimo gesto. Il tema dei «giochi proibiti» è diventato così una vera trama lirica, e insieme l'ambito definito di fatti mutevoli e in costante relazione. In alcune sculture il protagonista è il corpo di un bambino. Solo proteso nella sua fragile consistenza in una specie di richiesta vitale. Oppure impegnato nel toccare e tenere qualcos'altro fuori di sè, al di là di se stesso. Il giocattolo inerte, che si stacca e si separa dal suo corpo proprio mentre l'intimità affettuosa del gioco sembra essere riuscita a renderlo vivo e compagno in una fantasia assetata di concretezza. Poi, il bambino di certe sculture diventa in altre l'uomo, in un passaggio (uno scambio) pieno di significato. Come se un pensoso e abusivo scarto di racconto innestasse bruscamente sul corpo del bambino teso o abbandonato nel gioco, il corpo maturo di un uomo che si divincola in un contrasto drammatico con la forma diversa, separata e assorbita, opposta posseduta insieme, della bestia. (Ancora un'ambivalenza, o meglio una contemporaneità di valori espressivi). Questo veramente mi sembra il tema principale dei «giochi» compiuti e vissuti dai personaggi di Cavaliere: il rapporto con una oggettività estranea, verso il cui possesso essi si protendono. E la poesia effettiva che c'è in queste statue deriva dal fatto che Cavaliere non ci ha mostrato i residui finali di quel processo, la sua conclusione inerte: ma piuttosto il suo stesso essere in atto. La drammaticità che ne deriva è per questa ragione tutta interiore. Forse in alcuni profili ancora «indicata» da certe linee simbolicamente esagitate, nucleo più concreto del racconto figurale sembra risolta in un atto realizzato in tutta la sua vitale complessità. Credo di poter usare una immagine, dato che questa non vuole essere a rigor di termini una critica ma piuttosto un tentativo di lettura direi. Mi viene in mente che Cavaliere abbia dato una metafora concreta e gettivata del tema della «lotta con l'angelo». Spogliato di ogni elemento trascendente, il tema è diventato quello di una «lotta» con gli oggetti si offrono all'individuo, che lo aggrediscono e ne sono aggrediti. Il tema del dissidio concreto tra una struttura umana vivente nel suo equilibrio naturalmente instabile - avida e vulnerabile com'è allo stesso tempo e una struttura costituzionalmente estranea e diversa: inerte come quella di un giocattolo, ribelle come quella di una bestia. Una rappresentazione che culmina dove il personaggio che tocca e possiede l'oggetto (la bestia sembra tendere, nel possederlo, a recuperarlo completamente a sè, a integrarselo: e a dilatarsi in esso. Così, quelle che a prima vista sembrano deformazioni, si rivelano, nel fondo di questi personaggi (nella loro personalità espressiva) come l'attuazione figurale di specifiche disponibilità iconologiche. Queste sculture di Cavaliere, una per una e tutte insieme, raccontano la storia di quell'approccio (e dissidio) violento, testardo e indispensabile. La storia dell'individuo che esiste oggettivandosi nel rapporto qualcosa che è fuori dai suoi propri limiti. La storia dei suoi scontri, delle sue impossibilità e delle sue conquiste più elementari.