E. Tadini, Angelus Novus, pag. 32 – 34, Studio Marconi 11, 17 maggio 1979  

1 «C'è un quadro di Klee che si intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta». Walter Benjamin «Tesi di filosofia della storia» in «Angelus Novus - saggi e frammenti», Einaudi, pagg. 76-77.  

2 Schiere di angeli, invece, non facevano che guardare in avanti... verso il futuro... il radioso... Con cura e ottusità abbiamo cercato di rimuovere qualsiasi segno del tragico. Ma torna sempre, il rimosso: in sintomi.  

3 Il tragico non poteva essere che opera del nemico. (Esisteva, il diavolo, qui in terra...). Anzi il tragico era diventato il nemico. Fuori di noi: proprio fuori di noi. Non c'è qualcosa da vedere, da riconoscere?  

4 Il soggetto non è forse evocato dal vuoto lasciato dalla separazione? Dalla prima separazione, che scatena coscienza e conoscenza: quando il bambino si separa dalla madre, e il grande corpo totale va in pezzi, svapora... Il soggetto non ha forse luogo su quella scena - originaria in quanto origine di ogni altra scena, di ogni rappresentazione? Quando il bambino si stacca eternamente dalla madre, e in quell'«abisso senza fondo» (sono abissi, gli altri?), precipitano spazio e tempo, e precipita tutto intero il simbolico... E da quel punto i nomi incominciano a inseguire a perdifiato tutto ciò che, mutato in figura (visto!), si allontana... Desiderio e nostalgia, individuazione e totalità... Desiderio e nostalgia: così, in principio, prende corpo il tragico?  

5 È dal comico che viene lo sguardo che può fissare il tragico senza restame abbagliato? Che il comico abbia a che fare con il tragico, lo si sente in quella specie di fretta, di gran fretta che è connaturata al comico. Lo si sente nel suo sforzo teso ad accelerare il tempio e a condensare lo spazio... le facce, le parole... nel suo sforzo ostentato... nella sua volontà di mostrarsi prima di tutto sotto la forma di quello sforzo...  

6 Travestimenti e maschere fanno ridere. Perché sono figure di figure? Perché smentiscono il soggetto? Per questo ci danno piacere e ci mettono a disagio nello stesso tempo? Nel comico ridiamo di ciò che è presente come se ci riferissimo non a un essere autentico (alla verità), ma al niente. Il comico aggredisce e fa a pezzi ogni «valore eterno». Il comico lavora a vanificare quelle che potremmo chiamare le presunzioni del soggetto, i suo tentativi di sottrarsi alla propria parte assente, a ciò che lo contraddice, i suoi continui sforzi per trionfare sulla materia.  

7 Soffiano, dice Benjamin, tempeste dal paradiso... E le rovine sono rovine. È nell'avere pensato certe parole, e nell'aver saputo pronunciarle, il senso del tragico, del comico? Aver saputo pensare parole come tempesta... averle dette per la prima volta... guardando... averle dette per un futuro di tempeste... Ancora in bilico tra la parola e il puro e semplice terrore (non ancora abituati a quell'equilibrio)... rintronati da tuoni in molte lingue… Minacciose e già via che andavano, le tempeste... in fretta e furia... (tornando dove? in quali tane? nel futuro?)... e loro con ali di pelo bagnate fradice pesantissime... loro che aprivano la bocca... portati via... (semiotica selvaggia!)... con in bocca quel tremendo pasticcio... palatali, dentali, labiali...