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I MURI DOPO BERLINO Un'idea di Francesco Tadini e Melina Scalise DOPO MILANO E VALONA (Albania), NUOVA TAPPA A COLOGNO MONZESE DAL 21 AL 28 SETTEMBRE 2010 Circa cento artisti raccontano quali sono: “I muri dopo Berlino” Spazio
Tadini aveva chiesto ad artisti italiani e stranieri quali sono i “muri” ancora
da abbattere dopo la caduta del Muro di Berlino. Sono ideologici, politici,
economici, etici? O semplicemente ancora dei muri che segnano confini, che
bloccano speranze, che non danno piů sogni o utopie? Una mostra di 20X30, un
simbolico muro fatto di sogni, frontiere ed utopie che, partito il 10 novembre
2009, ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, č stato in esposizione in Italia e all’Estero
e adesso, in collaborazione con l’ASSOCIAZIONE AMICI DELL’ARTE DI COLOGNO
MONZESE, fa tappa nella Chiesa antica sconsacrata di Cologno Monzese nell’Hinterland milanese. dal 21 al 28 settembre 2010 Inaugurazione il 21 settembre alle ore 18.30 CHIESA ANTICA DEI SS. MARCO E GREGORIO Piazza XI Febbraio - Cologno Monzese - MM Verde Stazione Cologno
Centro |
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I
muri dopo Berlino non vuole essere solo una mostra, ma una
provocazione, uno stimolo a riflettere, un invito a guardare attraverso la
lente d’ingrandimento di un artista il mondo che ci circonda e svelarne le
barriere, gli ostacoli, i muri da abbattere o forse quelli ancora da mantenere
o costruire. Un modo per restituire
all’arte contemporanea un posto preciso nella storia e un’occasione per
comunicare una voglia di cambiamento che passi attraverso una voce inusuale:
quella che non rinuncia mai a cercare il bello. Gli artisti che hanno
aderito a questo progetto e le gallerie che hanno giŕ ospitato la mostra aggregando nuovi artisti locali, come la Galleria Koinč di Scicli e la Promenade Gallery di Valona in Albania,
lo hanno capito. “I muri dopo Berlino” č un “muro viaggiante” i cui “mattoni”
sono costituiti da opere e nelle quali ci sono i sogni, le speranze, i
disincanti, la rabbia o la rassegnazione di chi i muri li vede, ma non sa come
superarli, di chi li sente e non vuole dimenticarli. Le interpretazioni degli
artisti sono le piů diverse anche in relazione ai loro paesi d’origine. C’č chi
il muro lo vede nella scarsa coscienza ecologica, chi nelle ideologie, chi nei
sistemi di potere, chi dentro le persone, chi nelle rese, chi nelle religioni,
chi nell’indifferenza, chi in un viaggio della speranza con biglietto di
ritorno. Resta una cosa certa, che nelle
centinaia di opere che prendono parte a questa mostra molte sono piů una
denuncia e una voglia di conquista che la constatazione di una resa. Questo
risultato č certamente l’ereditŕ che ci portiamo grazie a questi ultimi decenni
di storia in cui abbiamo visto superare e abbattere o costruire molti muri. Per
esempio quello tra conscio e l’inconscio, l’andata sulla Luna, ma a cui spetta
un ruolo privilegiato senz’altro la caduta del Muro di Berlino che simboleggiň
la fine della Guerra Fredda e di quella sorta di immobilismo ideologico che
contraddistinse il destino del mondo dal dopoguerra in poi e che teneva in una
sorta di morsa il destino di tutti tra timori di guerre nucleari e fini
apocalittiche. Il 9 novembre del 1989 quando
venne abbattuto il Muro di Berlino e le immagini televisive fecero il giro del
mondo, quasi tutti vissero un’emozione di particolare sorpresa, perché
abbattere quella barriera sembrava all’improvviso una cosa semplicissima come
distruggere un qualsiasi muro di mattoni. Fatta la prima breccia, quel Muro
rivelava la sua normalitŕ, si svelava e sgretolava come tutti gli altri. Quel
crollo fu un nuovo inizio. Da quel momento si ebbe la certezza che i muri, per
quanto potessero apparire possenti, potevano essere abbattuti e si potevano
scoprire nuovi orizzonti e spostare barriere e confini. Per questa mostra abbiamo
chiesto a un critico, Claudio Rizzi, di dirci quanto l’arte possa parlare di
storia e fare storia e al giornalista, attualmente inviato dell’Espresso,
Roberto di Caro, di raccontarci quali sono per lui i muri, quelli veri, quelli
che vede cadere sotto le bombe in Medio Oriente o quelli che ci portiamo dentro
chiusi in una sorta di indifferenza. E tu, che muro sei? Melina
Scalise e Francesco Tadini La
lunga linea grigia di Claudio Rizzi Il valore storico del tema
si coniuga al percorso ventennale di riflessione e dibattito, di lettura
attenta operata da intellettuali e artisti. Tra gli autori oggi presenti
in scena, alcuni erano testimoni consapevoli degli eventi, altri, giovani
spettatori collaterali. Quando Gorbaciov giunse a
Milano portavoce della notizia, venne salutato in tripudio come l’eroe di un
nuovo mondo. Pochi mesi dopo, Alexander Zinoviev, fisico e Premio Nobel,
massimo dissidente in quella stagione, sempre a Milano, in occasione di un
intervento pubblico, accese la disputa e sollevň grande polemica. Non si
trattava di opposizione sterile ma di un monito a prevedere, con l’abbattimento
dei confini, e non solo di quelli berlinesi ma di altri, ideali, sociali e
politici, un esodo immane e tale da porre a rischio la struttura degli
equilibri internazionali. Per concomitanza fortuita,
non per curiositŕ di cronaca, benché fosse forte la consapevolezza di immediata
traduzione in storia, ero in Germania in quei giorni e ricordo il silenzio
dell’attesa, dello stupore e della parola meditata. I dubbi di intellettuali
tedeschi dinnanzi alla riunificazione dei due Paesi in unica grande Germania,
la memoria di un’altra epoca, lo spettro della presunzione che aveva infuocato
l’Europa e il mondo. Gravava in quella sera
un’atmosfera soffusa, silente, metafisica. L’attenzione internazionale era a
Berlino, le cittŕ si svuotarono e si accesero i televisori di casa. Un grande
rispetto salutň un grande giorno. A Darmstadt, in quel
periodo, alla Kunsthalle, si erano svolte due mostre imponenti, “ I muri, le barriere,
metaforiche o reali, dalla rivoluzione del Romanticismo, hanno segnato il
cammino della modernitŕ e la denuncia dell’Arte. Ne sono testimoni i
mangiatori di patate di Van Gogh e gli ospiti del Pio Albergo Trivulzio di
Angelo Morbelli, le figure di Leon Spilliaert o di Lorenzo Viani. Gli artisti hanno dato voce
all’umanitŕ sommessa, all’uomo grigio, senza nome e senza lode che costruisce
la storia, alle veritŕ che non si dicono in ossequio a quella generica omertŕ
che si chiama convenzione. I muri esistono,
proliferano, si consolidano e si propagano. Anacronistici, incivili, cruenti,
genocidi. Ma possiamo anche ammalarci di miopia, vedere solo in casa nostra e
osservare le due fazioni che da quindici anni fomentano dialogo tra sordi nella
contrapposizione assoluta, infelice e deleteria. Oppure, prima di concludere
la giornata, rammentare nostalgicamente l’unico muro ilare e allegro degli
ultimi trent’anni, quello del comico Ferrini, banda Renzo Arbore in “Quelli
della notte”, che, come antesignano di un federalismo “sui generis”, predicava
il Muro di Ancona, proteso nel mare Adriatico, valicabile solo con debita flotta
di pedalň d’altura.
“I muri hanno orecchie, le nostre orecchie
hanno muri” di Roberto Di Caro “I muri hanno
orecchie, le nostre orecchie hanno muri”, scrivevano sui muri di Parigi nel
maggio '68. Vecchia storia la sindrome d'accerchiamento, “taci il nemico ti
ascolta”, ma la frase a seguire marca
uno strappo: scardinate le blindature di un io anemico perché incapace di
ascolto, evadete dalla galera della coscienza infelice (Hegel andava per la
maggiore), fuori c'č il mondo da conoscere e cambiare, all'epoca un'endiadi.
Quando poi il mondo č cambiato davvero (o forse č solo uscito dai cardini) č di
nuovo con la caduta di un muro, a Berlino sulle note lente del violoncello di
Rostropovic. Dunque č acquisito: muro č ostacolo, chiusura, prigione, rifiuto,
paura, discriminazione. Chi lo edifica č un carceriere, chi lo abbatte un
liberatore. No, qualcosa non quadra. Muri sono anche quelli delle
case: chi vivrebbe all'addiaccio, o in un palazzo di vetro esposto alle
intemperie dello sguardo altrui? Muri sono i confini che disegnano uno spazio:
e uno spazio sconfinato non č fatto per viverci, al piů č pura natura da
contemplare estatici e riguardosi. Come l'intelletto, i muri separano,
distinguono, sono strumenti di discernimento. Rendono intelligibili gli oggetti
del conoscere e gli ŕmbiti del vivere. Proteggono dalla fascinazione
dell'indistinto il nostro lavorěo di attribuzione di senso alle cose e agli
accadimenti. Garantiscono il principio di individuazione contro l'amorfa piattezza
di un'esistenza ugualizzata, serializzata, liscia, depurata dai cattivi pensieri
come in ogni utopia negativa che si rispetti. Il problema non sono i muri ma i varchi, i check-point,
le porte. Chi ne tiene le chiavi. E se č capace di usarle, per aprire quando
serve e chiudere quando č opportuno. A cominciare dalle porte del proprio io.
Cos'č la conoscenza, cosa sono le stesse emozioni, se non un continuo abbattere
e ricostruire i confini dell'io, lasciarsi permeare dal mondo esterno e
l'istante appresso riprendere le distanze dal mondo per rielaborare e
risistemare? Aprirsi e chiudersi, sistole e diastole, funziona cosě anche il
cuore. Che spesso si erigano muri per paura non č una buona ragione per aver
paura dei muri. INCONTRI E DIBATTITI SUL TEMA DEL MURO ·
Giovedě 23
SETTEMBRE ORE 21 - LA TRAGEDIA DELLA VAL DI STAVA “Solo fango” di Giancarlo Narciso (Edizioni Ambiente, collana
Verdenero) 25 anni dopo il disastro della Val di Stava
in Trentino un’indagine per capire la causa del disfacimento della diga - un
argine, un muro! - che non regge sotto
la spinta della natura colpevolmente trascurata, e quel che capita in una
discarica di rifiuti in procinto di spazzare via interi paesi. Un noir di
ecomafia. Ne
parla l’autore con lo scrittore Carlo Andrea Cappi.
“DI
AZZURRO SOLO IL CIELO” di (Alfonso) Gianni Lombardi (Ediz.
Altroleggere) Romanzo autobiografico
dell’autore sul suo passaggio all’adolescenza, costeggiato dal “muro” della sua
fede basata su formule dettate da genitori, insegnanti e preti.
Ne
parla l’autore in compagnia del critico Ennio Abate e di Antonio Pezzotta |
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STIAMO RINNOVANDO GRAFICA E STRUTTURA DEL SITO SE QUALCHE PAGINA NON SARA' LINKABILE O COMPLETA VI CHIEDIAMO DI AVERE PAZIENZA. |
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