Spazio Tadini presenta la personale di Silvana Pincolini
Grembi di cielo
Inaugurazione martedě 11 maggio ore 18.30
Le sculture di Silvana Pincolini
č come se giungessero dal passato, sembrano appartenere a civiltŕ primitive. Ci
sottopongono l’osservazione dell’essenziale. Ci ricordano il lavoro dell’uomo e
della donna. Ci portano in luoghi dove si usa il fuoco, la terra e l’acqua,
dove si plasma con le mani o con attrezzi rudimentali come un martello o un
ferro per lavorare a maglia. Ci invitano a un ritorno alle origini, alle forze
primordiali, dove maschile e femminile si esprimono attraverso il fare: l’uomo
forgia e la donna tesse, l’uomo plasma e la donna sostiene. Un lavoro perpetuo
che sembra finalizzato ad un unico scopo: la vita.
Le sue sculture infatti sono come
gabbie o teche in cui sono inserite sculture in creta che si lasciano
attraversare, sostenere, abbracciare, dondolare. Strutture fragili e
plasmabili, simili a organi vitali traspiranti di vita, attraverso le quali puň
soffiare il vento, puň esserci respiro, puň tornare a dimora l’anima.
Le opere di Silvana Pincolini
sono realizzate con corda, ferro e creta lasciati al grezzo. Questi tre
elementi sono lavorati e assemblati in modo da creare strutture d’intreccio. La
corda, lavorata a maglia, trova il suo sostegno nelle intelaiature in ferro a
forma di parallelepipedo o quadrato. Queste tessiture si tendono e passano
dentro e fuori gli spazi definiti dalle strutture portanti. Si intersecano tra
loro e attraversano singolari forme in creta. Quest’ultime non sono
riconducibili a qualcosa di noto. Evocano sia rudimentali strumenti musicali a
fiato che forme organiche. Nel primo caso le tessiture ricordano tensioni utili
a modificare suoni o direzioni e si presentano a volte tese, a volte
semplicemente basculanti pronte a cogliere forze esterne come spinte esercitate
dal vento o dal gesto. Nel secondo caso le corde, tessute a punto dritto e
rovescio, entrano e si snodano nelle forme di creta rossastra come se fossero
fasci muscolari impegnati a creare o allentare tensioni, pronti all’azione, per
rendere vitale una sorta di organo estromesso da un corpo possibile.
Quelle teche, quelle gabbie, a cui questi possibili organi
restano legati e ancorati dal lavoro materno, non sono ventri pieni d’acqua,
pronti ad attutire colpi e suoni, ma strutture che si lasciano contaminare
dall’ambiente circostante e attraversare da forze e da emozioni. Forse non č un
caso che le crete somigliano spesso a dei cuori, all’organo del corpo in cui
simbolicamente riponiamo le nostre forze emozionali. Cuori strappati e messi
allo scoperto, dunque, a nudo, soggetti alle intemperie del tempo e della vita,
ma comunque saldi, forti dei legami, forse simbolicamente possibili grazie
soprattutto al paziente lavoro delle donne che sanno fare anche di rudi corde
maglie che sanno avvolgere e infondere calore come maglioni di lana nel freddo
inverno.
In alcuni lavori, gli oggetti in
creta di Silvana Pincolini, sembrano essere piccoli gioielli, imprigionati come
pesci nelle reti di un pescatore, disarmati, inermi, ma comunque regŕli, perché
nella loro immobilitŕ colpiscono dritto il tuo sguardo senza pudore a
testimoniare l’essere nonostante il divenire.
Melina
Scalise