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VELVET REVOLUTION
di
Mario Manzoni Sala - curatore della mostra
Cosa meglio di una rivoluzione per scardinare un’omologazione? Ecco che, giocando con il linguaggio possiamo accostare arte-rivoluzione-espressività-vita da una parte e quotidianità-omologazione-apatìa-morte dall’altra. E con questa sorta di doppia bussola in mano avvicinarci cautamente alla mostra tenendo ben d’occhio le oscillazioni dell’ago calamitato, forti di questo suggerimento futurista che ha il pregio di funzionare per ognuno in maniera calibrata.
Gli artisti di Velvet Revolution non sono un gruppo ufficiale bensì una squadra multiforme proveniente dall’ex Cecoslovacchia, crogiolo essa stessa di genti differenti con Praga come faro storico ad illuminarle tutte. Artisti accomunati dalla non giovanissima età in modo tale da aver già superato a pieni voti il “praticantato” e soprattutto decisi a non cedere alle lusinghe del mercato (se tralasciamo qualche strizzatina d’occhio lanciata da un paio tra loro). Ciò che conta è la voglia di tutti di continuare ad esprimersi rifuggendo la moda (sia internazionale: la omologazione, sia locale: il folklore, che nei Paesi dell’Est ora più di ieri imperversa e distrugge) per mantenere quello spazio creativo non inquinato dal contingente, indispensabile al fare artistico.Così abbiamo, per esempio, Pavelka (fondatore del Movimento Flowista) che dà vita ad immagini in perenne mutamento, colte in quell’attimo, sempre diverso, che le rende visibili ma pronte a liquefarsi nell’attimo successivo; forme che sono sinestesi del mondo della musica, frequenze di un diapason nascosto in una sorta di giardino botanico del subconscio. Klivar, che si addentra nei rapporti fra colore, psicologia ed emotività, rifiutando la figurazione a favore di una pittura alchemica ma non enigmatica dove la retina deve cedere il passo al terzo occhio della comprensione. Polakovic, che crea figurazioni patafisiche, assolutamente inverosimili ma incredibilmente reali, almeno sul foglio, attraverso cui mettere alla gogna le contraddizioni del contemporaneo modo di pensare. Fulierova, che realizza opere come partiture musicali di un’unica grande sinfonia dove le note sono sostituite dai colori e gli strumenti dai segni, dove musica e natura si rincorrono affascinandosi l’una dell’altra sul pentagramma della vita. Hajnal, dai quadri come vetrate di gotiche cattedrali in cui si riverbera la luce del trascendente anche quando l’attimo colto nell’immagine sembra rimandare ad un più profano gioco terreno. E potrei continuare fino a citare tutti gli artisti in mostra ma qui voglio lasciare al pubblico il piacere della scoperta…
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STANISLAV BALKO (1943) pittore e grafico
Dopo gli studi presso la Scuola Superiore Arti Figurative di Bratislava sotto la guida dei maestri Milly e Matejka frequenta l’Accademia di Belle Arti di Praga seguendo i corsi di Paderlik e Soucka. Tiene la sua prima personale nel 1971, alla Mladych Galery di Bratislava. Sue opere sono in permanenza presso il Ministero Slovacco della Cultura ed il Museo Arte-Letteratura di Banska Bystrica. |
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JINDRICH BOSKA (1931) pittore e scenografo
Studia all’Accademia d’Arte di Praga e presso l’atelier del padre Jindrich sr. Suoi maestri furono Vaclav Boukal e Frantisek Gross. Uno dei pionieri dell’ornamentalismo orfico in Repubblica Ceka e cofondatore del Gruppo Concretismo negli anni 60, con un programma di tipo costruttivista. La prima personale è nel 1969, curata da Jiri Valoch, alla Galleria Regionale di Vysocina; nel 2000 espone al Museo Otakara di Netolice. Fra le collettive più recenti segnaliamo nel 1970 la partecipazione alla mostra di grafica cecoslovacca tenutasi al Museo Arte Moderna di Oxford e nel 1993 alla Biennale Grafica di Maastricht.
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KVETOSLAVA FULIEROVA (1932) pittrice e musicista
Si diploma in arte grafica alla Scuola Superiore Arti Industriali di Brno sotto la guida dei maestri Bruckner e Juna. Tiene al prima personale al Museo J.A.Komenskeho di Uhersy Brod nel 1958. Ha partecipato ad importanti rassegne internazionali d’arte fra cui: l’Expo d Montreal nel 1968, la Rassegna Internazionale Arte di Vienna nel 1972, l’Arte Piccolo Formato di Toronto nel 1987, la Biennale Internazionale Grafica di Banska Bystrica nel 1993. Esponente di rilievo della corrente artistica Realismo Fantastico. |
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MICHAL HAJNAL (1935) pittore
Studia arte visiva a Kosice, presso gli studi dei maestri dell’arte slovacca Julius Nemcik, Julius Bukovinsky, Ludovit Feld e l’atelier di Jeno Barcsay. Membro dell’Unione Artisti di Praga e dell’Unione Artisti Grafici Ceki “Frantisek Kupka” che lo ha premiato nel 2000. La prima personale è nel 1968 in una galleria privata di Poprad, sua città natale; nel 1999 espone all’Istituto Cultura Slovacca di Praga. Fra le collettive più recenti segnaliamo nel 1999 la partecipazione alla mostra internazionale presso lo Sharjah Art Museum negli Emirati Arabi e nel 2000 al Centro Arte Contemporanea di Seul Korea. La sua pittura può essere definita della immaginazione trascendentale. |
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MIROSLAV KLIVAR (1932) pittore, grafico e performer
Si laurea in Storia della Filosofia alla Charles University di Praga. Diventa assistente di cattedra all’Accademia di Belle Arti della capitale ceka poi insegnante presso la Scuola Superiore Arti Industriali. E’ cofondatore del gruppo d’avanguardia ceko NOVA MALBA. Personaggio di spicco della poesia visiva espone per la prima vlta in personale nel 1960 alla Place du Teatre a Parigi. Fra i numerosi premi raccolti una menzione d’onore nel 1993 al Premio Internazionale Grafica Pomero Rho |
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MILENA KOBROVA (1927) pittrice e grafica
Studia alla Charles University di Praga e frequenta i corsi di specializzazione del prof. Paposkouve prima e l’atelier del pittore accademico J.Mezerove-Winterove poi. Fra le numerose ed importanti collettive internazionali a cui ha partecipato segnaliamo la Triennale di Grafica d’Avanguardia di Praga nel 1991 e nel 1994. |
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JINDRICH LIPA (1959) pittore e cartoonista
Effettua I suoi studi artistici sotto al guida dei maestri Jindrich Heger e Anna Burgetova. La prima personale è a Praga nel 1982. Dal 2006 a quest’anno, presso il City Center della capitale ceka ha tenuto una mostra permanente di sue opere. Nel 2009 ha vinto il Premio Masarych Academy of Arts e la Medaglia Franz Kafka. Sue opere sono nella Collezione Karmon, California, USA. Possiamo affermare che l’artista appartiene ad una sorta di Surrealismo Naive. |
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MILAN STESKO (1942) pittore e disegnatore
Studia arte alla Università Pedagogica di Banska Bystrica poi per decenni insegna presso la Scuola Primaria d’Arte di Zvolen. Le sue esposizioni sia personali che in collettiva sono molto rare. Nel 2000 espone al Museo SNP della sua città natale, nel 2008 a Mostar e quest’anno ha tenuto una sua personale presso l’Istituto Slovacco di Praga. La sua pittura potrebbe essere definita come Astrattismo Simbolico. |
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ZDENKA MARIE NOVAKOVA (1939) pittrice
Effettua i suoi studi presso la Facoltà di Architettura di Praga sotto la guida del prof. Frantisek Cubr e dal 1969 al 1990 insegna arte all’Accademia di Belle Arti della capitale ceka. Tra le numerose collettive internazionali a cui ha partecipato segnaliamo nel 1982 e nel 1991 Monaco. Espone in personale a Berlino all’Istituto Culturale Cecoslovacco nel 1988. In quello stesso anno ricevette il Premio del Ministero della Cultura Cecoslovacco. |
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JAROSLAV PAVELKA (1930) pittore
Si laurea alla Scuola Alta tecnologia di Brno ed intanto frequenta gli studi degli artisti Zamazal, Hradecky, Cerny e Makovsky. Tiene la sua prima personale in giovanissima età, nel 1948 nella sua città natale. Fondatore della corrente artistica del Flowismo negli Anni 60. Fra i numerosi premi vinti segnaliamo il Grand Prix al Salone Internazionale Rourge Quercy, Francia, nel 1973. E’ il più conosciuto fra gli artisti della prima generazione nella multiproiezione (Lanterna Magica e Polyekran nel 1953). Negli Anni 60 creò la corrente artistica StereoArt, visione stereoscopica. Fu pioniere della video art negli anni 70 nel suo Paese. |
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DUSAN POLAKOVIC (1950) incisore e illustratore
Effettua i suoi studi alle Accademie di Belle Arti di Varsavia e Bratislava, sotto la guida di Albin Brunovsky. Membro dell’Unione Slovacca Caricaturisti ha illustrato più di 50 pubblicazioni. Tiene la sua prima personale nel 1972 a Varsavia, nel 1981 espone a Brno e nel 1989 a Berlino; mentre fra le collettive internazionali segnaliamo Montreal (1981), Gabrovo (1989), Ostende (1994). La sua abilità incisoria si sposa con una ricchezza fantasiosa che origina macchine impossibili. Potrebbe essere definito un artista patafisico. |
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PAVEL HLAVATY (1943) grafico ed illustratore
Dopo il diploma conseguito alla Scuola d’Arte di Havirov comincia da autodidatta a frequentare gli studi di alcuni pittori della sua città, dove affina anche le sue capacità di illustratore. Ha inciso oltre 800 ex libris e vinto numerosi premi fra cui, recentemente, il 1° Premio alla Mostra internazionale ex-libris di Bosia (CN) nel 2007 ed il 3° Premio quest’anno. Nel 2008 ha allestito una sua grande personale in Polonia. E’ un artista a cavallo fra simbolismo magico e spiritualità. |
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PAVOL STESKO (1968) pittore e scultore
Studia arte presso la Scuola Arti Industriali di Bratislava specializzandosi in arte monumentale sotto la guida di Juraj Gavula. Scultore anche nella pittura usata tridimensionalmente come fosse un bassorilievo e pittore nella scultura in cui sceglie il materiale anche in base al colore. Espone qui per la prima volta in Italia. |
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Miroslava Hajek |
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Per fortuna in
contumacia, perché dopo
l’agosto 1969 mi trovavo in
Italia dove avevo partecipato
ad una manifestazione internazionale,
un incontro
tra artisti e personaggi di
cultura organizzato dalla
galleria Sincron e dalla Pro
Loco di Pejo. Questo incontro,
chiamato «Undici giorni
di arte collettiva», nasceva da
un’idea di Bruno Munari.
Dopo questa partecipazione
avevo ottenuto una borsa di
studio privata e quando fu il
momento di tornare a casa,
compresi in modo definitivo,
che quello che mi avrebbe
aspettato nel mio paese era il
carcere. Vent’anni dopo,
sempre senza una mia partecipazione
sono stata riabilitata.
La mia vicenda presenta
comunque anche aspetti
assurdi e umoristici che illustrano
la stupidità degli organi
di repressione di allora.
Alla fine degli anni sessanta
facevo parte di un insieme
eterogeneo di giovani artisti.
Tra di noi c’erano scrittori,
poeti, pittori, fotografi ed altro.
Tutti eravamo virtualmente
raggruppati, assumendo
l’autoironica denominazione
di «Boheme di
Brno», intorno all’improbabile
figura di un poeta di
nome Jan Novak, che scriveva
assurde poesie in rime
nello stile di realismo socialista.
Nell’ambito di questo
movimento abbiamo organizzato
e anche improvvisato
diversi recital in piazza, manifestazioni
teatro e happening,
anche in parallelo con
il gruppo praghese Aktual di
Milan Knizak. Negli ultimi
anni in repubblica Ceka è
cresciuto sempre di più l’interesse
intorno alle attività
della Boheme di Brno. Sono
stati pubblicati diversi libri
(Pavel Reznicek), scritti pezzi
teatrali (Arnost Goldflam) e
recentemente anche la televisione
ceca ha ritrasmesso il
documentario fantastico girato
in quelli anni da Karel
Fuksa. |
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I protagonisti
della Boheme di Brno, 1968
(da sinistra Pavel Reznicek, Miroslava
Hajek, Arnost Goldflam, Ivana Hajek) |
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Sono trascorsi quarant'anni
dalla fine del tentativo
di costruire il «comunismo
dal volto umano» ed è singolare
che il 2008 sia quasi
passato senza che in Italia gli
ambienti culturali, politici o i
mass media abbiano dato a
questo avvenimento la giusta
risonanza. Soltanto negli
ultimi mesi Enzo Bettiza,
autore del recente libro «La
primavera di Praga. 1968»
(Mondadori) ha dato il via a
una rovente polemica con
Umberto Eco. Secondo Bettiza
«a Eco non importava
nulla degli studenti e dei lavoratori
di Praga: a lui importava
solo che il blocco sovietico
rimanesse compatto». Il
direttore del «Corriere della
Sera» Paolo Mieli concorda
con Bettiza nella polemica
con Eco riguardante la Primavera
di Praga. «Bettiza
aveva ragione - ha detto Mieli
a Cortina durante un dibattito
all'interno degli incontri
culturali «Cortina InCon-
Tra»: Umberto Eco come
molti intellettuali di sinistra
italiani non è che fosse prettamente
a favore dell'intervento
sovietico, ma era molto
preoccupato che si arrivasse
a uno scontro in un fronte,
quello sovietico, che si voleva
assolutamente unito». «A
quei tempi - ha aggiunto Mieli
- tutto veniva affidato a una
certa realpolitik, che imponeva
di mantenere unito il
campo anticapitalista. Certamente
era un atteggiamento
colpevole ed è un atteggiamento
che continua anche
oggi nella sinistra italiana: si
rimpiange la mancata unità
contro il nemico di turno. Ma
queste unità fittizie - ha concluso
- non portano a niente,
è meglio perderle che trovarle
». Le polemiche, credo, denunciano
la totale incomprensione
occidentale per
quello che era un tentativo di
umanizzare un regime che è
scivolato in una realtà del
tutto incompatibile anche
con la sua idea di partenza;
quella di costruire una società
più giusta, che doveva offrire
opportunità a tutti, aumentare
il benessere globale,
senza proprietà privata, senza
lo sfruttamento dell'uomo
sull'uomo. Penso che in Italia
la commemorazione più appropriata
sia stata realizzata,
dall'attrice praghese Jitka
Frantova, che con la regia di
Daniele Salvo, ha portato in
scena uno spettacolo che ricordava
quelle tragiche vicende
e che rendeva omaggio
alla personalità morale di
Jiri Pelikan che fu suo marito,
uomo politico di spicco in
quel tormentato periodo.
Esiliato in Italia continuò a
battersi per il ripristino delle
libertà democratiche in Cecoslovacchia.
L'esilio toccò
anche a me, che allora ero
molto giovane e non avevo
certo l'importanza o la statura
politica di Pelikan. Posso
però sostenere a ragione di
essere l'unica storica d'arte
di origini cecoslovacche in
Italia che sia stata allora processata
e condannata per
motivi politici. |
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21 agosto1968, «Boheme
di Brno» compra, vende e affitta
i carri armati sovietici (da sinistra
M.Hajek, Goldflam, Trunecka,
Reznicek, Cockova, Stejskal) |
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Secondo un mio parere,
l’happening più importante
lo abbiamo inventato al
momento dell’occupazione
sovietica il 21 agosto 1968. Quel giorno ci siamo svegliati
dentro un incubo. La mattina
presto anche la nostra
città era stata invasa dai carri
armati del Patto di Varsavia.
Diversi componenti della
Boheme di Brno sono venuti
a casa mia ed assieme
siamo andati in centro. Penso
che l’esperienza fosse
traumatica anche per i militari,
ragazzi giovani come noi
avevano ben capito che non
c’era nessuna controrivoluzione
in atto. Ci sembrava
una situazione inconcepibile,
tragicomica e abbiamo
reagito d’impulso. Ci siamo
organizzati in gruppi che
tentavano di comprare, vendere
o per lo meno affittare i
carri armati sovietici per fare
un giro turistico di Brno.
Questo accadeva mentre il
poeta Pavel Reznicek tentava
di ballarci sopra il Lago dei
Cigni di Cajkovskij. La gente
intorno piangeva ridendo.
Un amico fotografo scattava
prontamente la documentazione
della performance, ma
purtroppo si è salvato poco,
perché le foto sono state in
seguito sequestrate dalla
polizia. Penso che sia stata la
prima e ultima volta in cui un
gruppo di artisti abbia ridicolizzato
un evento forse tra i
più gravi, l’invasione militare
di un paese pacifico e sovrano.
Sempre nello spirito del
movimento »Boheme di Brno
», ribelle, canzonatorio e
dissacrante, ma prima della
invasione sovietica, fondai
assieme ad Arnost Goldflam,
oggi famoso drammaturgo,
attore e regista, un’associazione fittizia chiamata «I
Moribondi». L’idea si diffuse
subito, forse perché ci sembrava
di essere intrappolati
in una realtà senza futuro e
soffrivamo realmente di acciacchi
veri o psicosomatici.
Un membro della Boheme di
Brno, che lavorava in una
tipografia, ha provveduto a
stampare le tessere. Costituimmo
pure, ma solo in
teoria, un comitato centrale
con tutta la burocrazia relativa,
per divertirci e anche
per ridicolizzare l’apparato
politico che soffocava il paese.
I veri problemi sono sorti
quando un nostro amico nel
settembre 1969 venne fermato
dalla polizia. Aveva in
tasca la tessera dei «Moribondi
». La tessera, completa
di fotografia e numerata recava
anche la scritta «Si prega
la cittadinanza di non restituire
alla vita il proprietario
di questa tessera». È logico
pensare che la polizia
avesse creduto di aver trovato
l’organizzazione che coordinava
i suicidi di protesta.
Pensavano che i numeri della
tessera significassero l’ordine
delle immolazioni. Inoltre
per tragica coincidenza nel
giugno di quell’anno si suicidò
Vladimir Valek, il mio
compagno di università e di
affetto. Le rappresaglie per la
mia famiglia e i miei amici
sono state pesanti e hanno
toccato anche me che ero in
Italia. Però noi non avevamo
sicuramente il coraggio di
Jan Palach, studente di filosofia,
viveva come tutti noi,
con grande coinvolgimento e
speranza la stagione riformista
della Cecoslovacchia..
Per protestare contro l’iniziativa
bellica del Patto di Varsavia,
Palach prima fondò un
gruppo di volontari anti-
URSS e successivamente
decise di cospargersi il corpo
di benzina in piazza San Venceslao
a Praga, appiccandosi
il fuoco con un accendino (16
gennaio 1969). Morì tre giorni
dopo. Ai funerali parteciparono
600 mila persone
provenienti da tutto il Paese.
Decise di suicidarsi morendo
carbonizzato, però i suoi appunti
e i suoi articoli si sono
salvati, perché li tenne in
uno zaino molto distante
dalle fiamme. Tra le dichiarazioni
trovate nei suoi quaderni,
spicca questa: «Poiché
i nostri popoli sono sull’orlo
della disperazione e della
rassegnazione, abbiamo deciso
di esprimere la nostra
protesta e di scuotere la coscienza
del popolo. Il nostro
gruppo è costituito da volontari,
pronti a bruciarsi per la
nostra causa. Poiché ho avuto
l’onore di estrarre il numero
1, è mio diritto scrivere la
prima lettera ed essere la
prima torcia umana. Noi esigiamo
l’abolizione della censura
e la proibizione di Zpravy
(Zpravy vuol dire 'Notiziario',
il giornale delle forze
d’occupazione sovietiche).
Se le nostre richieste non
saranno esaudite entro cinque
giorni, il 21 gennaio
1969, e se il nostro popolo
non darà un sostegno sufficiente
a quelle richieste, con
uno sciopero generale e illimitato,
una nuova
torcia s’infiammerà».
Questo clima portò a
drammatiche conseguenze:
tanti altri
giovani, tra cui l’amico
Jan Zajíc, seguirono
il suo esempio e si
tolsero la vita, nel silenzio
degli organi
d’informazione, controllati
dalle forze d’invasione. Grazie
a questo gesto estremo
Palach venne considerato
come eroe e martire. In molte
città di varie nazioni gli furono
intitolate strade. Anche la
Chiesa Cattolica lo difese,
affermando che «Un suicida
in certi casi non scende all’Inferno
» e che «non sempre
Dio è dispiaciuto quando un
uomo si toglie il suo bene
supremo, la vita». Un atto di
sacrificio estremo che ai cechi
ricorda quello di Jan
Hus, viene spesso strumentalizzato
politicamente senza
comprendere, che il suo
messaggio «bisogna difendere
la verità» sia rivolto a tutta
l’umanità senza colori e partiti.
La presa di coscienza e la
riflessione della intellighenzia
Cecoslovacca sulle degenerazioni
del cosiddetto socialismo
o comunismo reale
è iniziata nel 1968 con un
articolo «duemila parole»
scritto da Ludvik Vaculik e
apparso nella rivista «Literarni
listy». Questo processo
di voler umanizzare il regime
non ha riscosso in occidente
un grosso consenso.
Paradossalmente
in quegli anni i
cosiddetti progressisti di sinistra
giovani e non, preferivano
supportare moralmente
ciò che c’era di più aberrante
e crudele nei regimi
comunisti. Da uno sguardo
superficiale non comprendevano
che le deviazioni erano
spesso tramandate dai regimi
precedenti come quello
zarista o nazista per non
parlare di Mao Tze Tung.
L’impulso di ripulire il partito
comunista cecoslovacco dalle
incrostazioni introdotte
specialmente dai personaggi
cosiddetti voltagabbana o riciclati
ha spaventato alcune
persone. Da ciò nacque l’iniziativa
di cinque individui
facenti parte di una piccola
frangia stalinista del partito
comunista ceco. Terrorizzati
di perdere il loro potere invitarono
i sovietici ad intervenire
con le armi usando il
pretesto di voler salvare il
comunismo, sostenendo falsamente,
che ci fosse in corso
una controrivoluzione. Guardando
questo avvenimento
con un distacco di quarant’anni
si riesce a cogliere
meglio gli aspetti paradossali
della loro iniziativa. Non
solo non sono riusciti a salvare
il comunismo ma hanno
dato l’inizio al suo sfacelo
morale ed economico. In più
sono persino riusciti a smentire
Karl Marx, che sosteneva
che la storia la costruiscono
le masse e non i singoli individui
Nel giro di un attimo, il
tentativo di migliorare la società
fu represso militarmente
dalle truppe dell’Unione
Sovietica e degli altri paesi
che aderivano al Patto di Varsavia,
con la sola eccezione
della Romania. Le reazioni
delle sinistre dei paesi occidentali
ci lasciarono sgomenti.
Non ci si aspettava
l’indifferenza di tanti intellettuali
alle rappresaglie che
subirono persone che avevano
l’unica colpa di volere un
comunismo dal volto umano
durante i vent’anni della cosiddetta
«normalizzazione»
che seguì l’invasione. Lo
scrittore ceco Pavel Kohout
lo ha indicato come il fallimento
dell’intellighenzia
delle sinistre occidentali,
addicendo un ragionamento
lineare: «loro se protestavano
non rischiavano sicuramente
di essere deportati in Siberia
». Anche nella ex Cecoslovacchia,
però, l’argomento
della Primavera di Praga è
ancora dolente. L’esperienza
di quei mesi, il cambiamento
veloce e positivo del sistema
economico, il clima di entusiasmo
ed il senso di rinascita
ha segnato tutti noi che
l’abbiamo vissuto. Mi capita,
quando torno a Praga, di
spolverare i ricordi con vecchi
amici di allora e mio figlio
che non ne può più mi dice
«ma come siete noiosi voi con
quella storia di Primavera di
Praga vi piaceva perché eravate
giovani». Al che io gli rispondo:
«guarda che noi
eravamo giovani anche prima
e dopo». Inoltre ci è rimasta
la curiosità di come
l’esperienza si sarebbe potuta
evolvere e come potrebbe
essere oggi quel paese senza
quell’intervento militare. |
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