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VELVET REVOLUTION

(di Mario Manzoni Sala

curatore della mostra)

 

Il muro è veramente caduto?

(di Miroslava Hajek)

1968/2008 quarant'anni dopo la primavera di Praga

(di Miroslava Hajek)

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Gli artisti di

VELVET REVOLUTION

a Spazio Tadini:

 

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CATALOGO DELLA MOSTRA

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VELVET REVOLUTION

di

Mario Manzoni Sala - curatore della mostra


Cosa meglio di una rivoluzione per scardinare un’omologazione? Ecco che, giocando con il linguaggio possiamo accostare arte-rivoluzione-espressività-vita da una parte e quotidianità-omologazione-apatìa-morte dall’altra. E con questa sorta di doppia bussola in mano avvicinarci cautamente alla mostra tenendo ben d’occhio le oscillazioni dell’ago calamitato, forti di questo suggerimento futurista che ha il pregio di funzionare per ognuno in maniera calibrata.

Gli artisti di Velvet Revolution non sono un gruppo ufficiale bensì una squadra multiforme proveniente dall’ex Cecoslovacchia, crogiolo essa stessa di genti differenti con Praga come faro storico ad illuminarle tutte. Artisti accomunati dalla non giovanissima età in modo tale da aver già superato a pieni voti il “praticantato” e soprattutto decisi a non cedere alle lusinghe del mercato (se tralasciamo qualche strizzatina d’occhio lanciata da un paio tra loro). Ciò che conta è la voglia di tutti di continuare ad esprimersi rifuggendo la moda (sia internazionale: la omologazione, sia locale: il folklore, che nei Paesi dell’Est ora più di ieri imperversa e distrugge) per mantenere quello spazio creativo non inquinato dal contingente, indispensabile al fare artistico.Così abbiamo, per esempio, Pavelka (fondatore del Movimento Flowista) che dà vita ad immagini in perenne mutamento, colte in quell’attimo, sempre diverso, che le rende visibili ma pronte a liquefarsi nell’attimo successivo; forme che sono sinestesi del mondo della musica, frequenze di un diapason nascosto in una sorta di giardino botanico del subconscio. Klivar, che si addentra nei rapporti fra colore, psicologia ed emotività, rifiutando la figurazione a favore di una pittura alchemica ma non enigmatica dove la retina deve cedere il passo al terzo occhio della comprensione. Polakovic, che crea figurazioni patafisiche, assolutamente inverosimili ma incredibilmente reali, almeno sul foglio, attraverso cui mettere alla gogna le contraddizioni del contemporaneo modo di pensare.  Fulierova, che realizza opere come partiture musicali di un’unica grande sinfonia dove le note sono sostituite dai colori e gli strumenti dai segni, dove musica e natura si rincorrono affascinandosi l’una dell’altra sul pentagramma della vita.  Hajnal, dai quadri come vetrate di gotiche cattedrali in cui si riverbera la luce del trascendente anche quando l’attimo colto nell’immagine sembra rimandare ad un più profano gioco terreno. E potrei continuare fino a citare tutti gli artisti in mostra ma qui voglio lasciare al pubblico il piacere della scoperta…

 
 
 

Il muro è veramente caduto?

di Miroslava Hajek

 

Pochissimo tempo dopo lo smantellamento della cortina di ferro sono stata invitata a Praga ad un congresso-incontro tra dissidenti. Non eravamo forse neanche duecento persone tra quelle chiamate dall’esilio e quelle rimaste in patria. Ero l’unica invitata dall’Italia. L’atmosfera dell’incontro era eccezionale: si poteva letteralmente respirare la gioia, la speranza e l’entusiasmo di affrontare un futuro migliore.

In quelli anni tornavo a Praga ogni tre mesi circa e trovavo impressionanti e velocissimi cambiamenti. Dicevo agli amici che sembrava fare surf nella storia. Ero molto curiosa di come avrebbe reagito il popolo, come avrebbe affrontato le insidie del passaggio da una società dove non esisteva la proprietà privata e il denaro non aveva importanza aa una società dove il denaro è tutto. Trovavo la maggior parte della gente impreparata e credulona: si aspettavano un mondo come quello che viene presentato dalla pubblicità.

Dopo circa due o tre anni cominciavo però a percepire in certe persone una nota di disillusione. Un amico mi ha detto: “Sai, mi sembra che gli Stati Uniti siano come l’Unione Sovietica, solo con lo spazzolino da denti”. Un altro mi ha raccontato un fatto – un vero malinteso culturale accaduto a Brno nei primi anni Novanta. Nella città si era cominciato a sussurrare: “…Ormai stiamo diventando internazionali, nella Piazza della Libertà aprirà un ristorante americano…” Per l’inaugurazione erano stati invitati tutti i notabili di Brno che si sono presentati eleganti in abiti da sera. Quando gli ospiti si sono seduti ai tavolini sono stati distribuiti degli hamburger nei loro contenitori di polistirolo. La gente è rimasta sbigottita e dalla penombra si è levata una voce: “I comunisti la sbobba ce la servivano in piatti di porcellana”. I giornali occidentali invece scrivevano che nell’Est era finalmente arrivata la libertà e che si stavano aprendo le catene di Mac Donald.

Intanto procedeva il processo di trasformazione in un paese capitalista. Uno choc per le persone che erano abituate a vivere in un regime senza la competizione economica, senza la proprietà privata, senza le banche e senza nessuna risorsa di denaro in un paese dove era tutto statale e dove le stesse persone che gestivano l’economia in un modo discutibile fino al 1989 hanno cominciato per così dire a privatizzarla. Nascevano banche come i funghi e dopo aver raccolto i primi risparmi della povera gente sparivano con il bottino.

Oggi credo non ci sia più in Repubblica Ceca una banca nazionale e anche le industrie più importanti sono ormai in mano alle grosse società multinazionali che le hanno acquistate per poco e non hanno nessun interesse a far nascere concorrenza.

Così molte persone coraggiose che hanno cominciato intraprendere un’attività in proprio hanno dovuto chiudere perché ad un certo momento non hanno trovato possibilità di finanziamento, in modo particolare i quei momenti delicati quando non si sono ancora riscossi i crediti ma bisogna pagare le spese di gestione.

Per ironia della sorte l’ipertrofico apparato burocratico ereditato dal passato regime era rimasto integro, e così per nutrirlo bisognava introdurre delle tasse che pesavano gravemente sulla produzione ed impedivano la crescita economica. La gente nei paesi dell’ex blocco sovietico aveva ancora paura ad esporsi, e cosi nella politica entravano delle persone opinabili.

Spesso penso che l’Europa avrebbe dovuto varare un piano per aiutare a smantellare il regime totalitario sostenendo i paesi dell’Europa dell’Est ad integrarsi. Penso che sia stato controproducente per tutti far fallire delle imprese che con il giusto e minimo aiuto avrebbero potuto vendere i loro prodotti nei mercati occidentali. Creare gente povera e senza speranza non serve a nessuno, questo un certo capitalismo illuminato lo ha capito, perché riducendo il benessere delle masse si riduce anche la loro capacità di acquisto e quindi ci si comincia ad avviare verso la crisi.

Molti paesi dell’Europa sono entrati nell’Unione Europea e penso che questo sia un fatto positivo, perché mi auguro che il sistema di leggi dell’Unione proteggerà i paesi membri dai loro eccessi interni e dall’aggressività economica esterna.

 
 

RIUNIONE DISSIDENTI 1989 In prima fila: secondo da destra Vaclav Havel, in seconda fila: Miroslava Hajek

 

biografie artisti di Velvet Revolution

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STANISLAV  BALKO (1943) pittore e grafico

Dopo gli studi presso la Scuola Superiore Arti Figurative di Bratislava sotto la guida dei maestri Milly e Matejka frequenta l’Accademia di Belle Arti di Praga seguendo i corsi di Paderlik e Soucka.  Tiene la sua prima personale nel 1971, alla Mladych Galery di Bratislava. Sue opere sono in permanenza presso il Ministero Slovacco della Cultura ed il Museo Arte-Letteratura di Banska Bystrica.

 

JINDRICH BOSKA (1931) pittore e scenografo


Studia all’Accademia d’Arte di Praga e presso l’atelier del padre Jindrich sr. Suoi maestri furono Vaclav Boukal e Frantisek Gross. Uno dei pionieri dell’ornamentalismo orfico in Repubblica Ceka e cofondatore del Gruppo Concretismo negli anni 60, con un programma di tipo costruttivista. La prima personale è nel 1969, curata da Jiri Valoch, alla Galleria Regionale di Vysocina; nel 2000 espone al Museo Otakara di Netolice. Fra le collettive più recenti segnaliamo nel 1970 la partecipazione alla mostra di grafica cecoslovacca tenutasi al Museo Arte Moderna di Oxford e nel 1993 alla Biennale Grafica di Maastricht.

KVETOSLAVA  FULIEROVA (1932) pittrice e musicista

Si diploma in arte grafica alla Scuola Superiore Arti Industriali di Brno sotto la guida dei maestri Bruckner e Juna. Tiene al prima personale al Museo J.A.Komenskeho di Uhersy Brod nel 1958. Ha partecipato ad importanti rassegne internazionali d’arte fra cui: l’Expo d Montreal nel 1968, la Rassegna Internazionale Arte di Vienna nel 1972, l’Arte Piccolo Formato di Toronto nel 1987, la Biennale Internazionale Grafica di Banska Bystrica nel 1993. Esponente di rilievo della corrente artistica Realismo Fantastico.

 

MICHAL  HAJNAL (1935) pittore

Studia arte visiva a Kosice, presso gli studi dei maestri dell’arte slovacca Julius Nemcik, Julius Bukovinsky, Ludovit Feld e l’atelier  di Jeno Barcsay.  Membro dell’Unione Artisti di Praga e dell’Unione Artisti Grafici Ceki “Frantisek Kupka” che lo ha premiato nel 2000. La prima personale è nel  1968 in una galleria privata di Poprad, sua città natale; nel 1999 espone all’Istituto Cultura Slovacca di Praga. Fra le collettive più recenti segnaliamo nel 1999 la partecipazione alla mostra internazionale presso lo Sharjah Art Museum negli Emirati Arabi e nel 2000 al Centro Arte Contemporanea di Seul Korea. La sua pittura può essere definita della immaginazione trascendentale.

MIROSLAV  KLIVAR (1932) pittore, grafico e performer

Si laurea in Storia della Filosofia alla Charles University di Praga. Diventa assistente di cattedra all’Accademia di Belle Arti della capitale ceka poi insegnante presso la Scuola Superiore Arti Industriali. E’ cofondatore del gruppo d’avanguardia ceko NOVA MALBA. Personaggio di spicco della poesia visiva espone per la prima vlta in personale nel 1960 alla Place du Teatre a Parigi. Fra i numerosi premi raccolti una menzione d’onore nel 1993 al Premio Internazionale Grafica Pomero Rho

 

MILENA  KOBROVA (1927) pittrice e grafica

Studia alla Charles University di Praga e frequenta i corsi di specializzazione del prof. Paposkouve prima e l’atelier del pittore accademico J.Mezerove-Winterove poi.  Fra le numerose ed importanti collettive internazionali a cui ha partecipato segnaliamo la Triennale di Grafica d’Avanguardia di Praga nel 1991 e nel 1994.

JINDRICH  LIPA (1959) pittore e cartoonista

Effettua I suoi studi artistici sotto al guida dei maestri Jindrich Heger  e Anna Burgetova.  La prima personale è a Praga nel 1982. Dal 2006 a quest’anno, presso il City Center della capitale ceka ha tenuto una mostra permanente di sue opere. Nel 2009 ha vinto il Premio Masarych Academy of Arts e la Medaglia Franz Kafka. Sue opere sono nella Collezione Karmon, California, USA. Possiamo affermare che  l’artista appartiene ad una sorta di Surrealismo Naive.

 

MILAN  STESKO (1942) pittore e disegnatore

Studia arte alla Università Pedagogica di Banska Bystrica poi per decenni insegna presso la Scuola Primaria d’Arte di Zvolen.  Le sue esposizioni sia personali che in collettiva sono molto rare. Nel 2000 espone al Museo SNP della sua città natale, nel 2008 a Mostar e quest’anno ha tenuto una sua personale presso l’Istituto Slovacco di Praga. La sua pittura  potrebbe essere definita come Astrattismo Simbolico.

ZDENKA  MARIE  NOVAKOVA (1939) pittrice

Effettua i suoi studi presso la Facoltà di Architettura di Praga sotto la guida del prof. Frantisek Cubr e dal 1969 al 1990 insegna arte all’Accademia di Belle Arti della capitale ceka.  Tra le numerose collettive internazionali a cui ha partecipato segnaliamo nel 1982 e nel 1991 Monaco. Espone in personale a Berlino all’Istituto Culturale Cecoslovacco nel 1988. In quello stesso anno ricevette il Premio del Ministero della Cultura Cecoslovacco.

 

JAROSLAV  PAVELKA (1930) pittore

Si laurea alla Scuola Alta tecnologia di Brno ed intanto frequenta gli studi degli artisti Zamazal, Hradecky, Cerny e Makovsky. Tiene la sua prima personale in giovanissima età, nel 1948 nella sua città natale. Fondatore della corrente artistica del Flowismo negli Anni 60. Fra i numerosi premi vinti segnaliamo il Grand Prix al Salone Internazionale Rourge  Quercy, Francia, nel 1973.  E’ il più conosciuto fra gli artisti della prima generazione nella multiproiezione (Lanterna Magica e Polyekran nel 1953). Negli Anni 60 creò la corrente artistica StereoArt, visione stereoscopica.  Fu pioniere della video art negli anni 70 nel suo Paese.

DUSAN POLAKOVIC (1950) incisore e illustratore

Effettua i suoi studi alle Accademie di Belle Arti di Varsavia e Bratislava, sotto la guida di Albin Brunovsky. Membro dell’Unione Slovacca Caricaturisti  ha illustrato più di 50 pubblicazioni. Tiene la sua prima  personale nel 1972 a Varsavia, nel 1981 espone a Brno e nel 1989 a Berlino; mentre fra le collettive internazionali segnaliamo Montreal (1981), Gabrovo (1989), Ostende (1994). La sua abilità incisoria si sposa con una ricchezza fantasiosa che origina macchine impossibili. Potrebbe essere definito un artista patafisico. 

 

PAVEL HLAVATY (1943) grafico ed illustratore

Dopo il diploma conseguito alla Scuola d’Arte di Havirov comincia da autodidatta a frequentare gli studi di alcuni pittori della sua città, dove affina anche le sue capacità di illustratore. Ha inciso oltre 800 ex libris e vinto numerosi premi fra cui, recentemente, il 1° Premio alla Mostra internazionale ex-libris di Bosia (CN) nel 2007 ed il 3° Premio quest’anno. Nel 2008 ha allestito una sua grande personale in Polonia. E’ un artista a cavallo fra simbolismo magico e spiritualità.

PAVOL  STESKO (1968) pittore e scultore

Studia arte presso la Scuola Arti Industriali di Bratislava specializzandosi in arte monumentale sotto la guida di Juraj Gavula. Scultore anche nella pittura usata tridimensionalmente come fosse un bassorilievo e pittore nella scultura in cui sceglie il materiale anche in base al colore. Espone qui per la prima volta in Italia.

     
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  La storica dell’ arte Miroslava Hajek partecipò attivamente alla Primavera di Praga del 1968; con l’arrivo dei Sovietici molti giovani studenti attivisti dovettero abbandonare la Patria per non subire la persecuzione messa in atto dal mondo politico comunista

1968/2008 quarant’anni
dopo la primavera di Praga

di Miroslava Hajek

articolo pubblicato nel dicembre 2008 da Il Nuovo Aronese

  Miroslava Hajek  
   
     
  Per fortuna in contumacia, perché dopo l’agosto 1969 mi trovavo in Italia dove avevo partecipato ad una manifestazione internazionale, un incontro tra artisti e personaggi di cultura organizzato dalla galleria Sincron e dalla Pro Loco di Pejo. Questo incontro, chiamato «Undici giorni di arte collettiva», nasceva da un’idea di Bruno Munari. Dopo questa partecipazione avevo ottenuto una borsa di studio privata e quando fu il momento di tornare a casa, compresi in modo definitivo, che quello che mi avrebbe aspettato nel mio paese era il carcere. Vent’anni dopo, sempre senza una mia partecipazione sono stata riabilitata. La mia vicenda presenta comunque anche aspetti assurdi e umoristici che illustrano la stupidità degli organi di repressione di allora. Alla fine degli anni sessanta facevo parte di un insieme eterogeneo di giovani artisti. Tra di noi c’erano scrittori, poeti, pittori, fotografi ed altro. Tutti eravamo virtualmente raggruppati, assumendo l’autoironica denominazione di «Boheme di Brno», intorno all’improbabile figura di un poeta di nome Jan Novak, che scriveva assurde poesie in rime nello stile di realismo socialista. Nell’ambito di questo movimento abbiamo organizzato e anche improvvisato diversi recital in piazza, manifestazioni teatro e happening, anche in parallelo con il gruppo praghese Aktual di Milan Knizak. Negli ultimi anni in repubblica Ceka è cresciuto sempre di più l’interesse intorno alle attività della Boheme di Brno. Sono stati pubblicati diversi libri (Pavel Reznicek), scritti pezzi teatrali (Arnost Goldflam) e recentemente anche la televisione ceca ha ritrasmesso il documentario fantastico girato in quelli anni da Karel Fuksa.  
   
  I protagonisti della Boheme di Brno, 1968 (da sinistra Pavel Reznicek, Miroslava Hajek, Arnost Goldflam, Ivana Hajek)  
     
   
     

Sono trascorsi quarant'anni dalla fine del tentativo di costruire il «comunismo dal volto umano» ed è singolare che il 2008 sia quasi passato senza che in Italia gli ambienti culturali, politici o i mass media abbiano dato a questo avvenimento la giusta risonanza. Soltanto negli ultimi mesi Enzo Bettiza, autore del recente libro «La primavera di Praga. 1968» (Mondadori) ha dato il via a una rovente polemica con Umberto Eco. Secondo Bettiza «a Eco non importava nulla degli studenti e dei lavoratori di Praga: a lui importava solo che il blocco sovietico rimanesse compatto». Il direttore del «Corriere della Sera» Paolo Mieli concorda con Bettiza nella polemica con Eco riguardante la Primavera di Praga. «Bettiza aveva ragione - ha detto Mieli a Cortina durante un dibattito all'interno degli incontri culturali «Cortina InCon- Tra»: Umberto Eco come molti intellettuali di sinistra italiani non è che fosse prettamente a favore dell'intervento sovietico, ma era molto preoccupato che si arrivasse a uno scontro in un fronte, quello sovietico, che si voleva assolutamente unito». «A quei tempi - ha aggiunto Mieli - tutto veniva affidato a una certa realpolitik, che imponeva di mantenere unito il campo anticapitalista. Certamente era un atteggiamento colpevole ed è un atteggiamento che continua anche oggi nella sinistra italiana: si rimpiange la mancata unità contro il nemico di turno. Ma queste unità fittizie - ha concluso - non portano a niente, è meglio perderle che trovarle ». Le polemiche, credo, denunciano la totale incomprensione occidentale per quello che era un tentativo di umanizzare un regime che è scivolato in una realtà del tutto incompatibile anche con la sua idea di partenza; quella di costruire una società più giusta, che doveva offrire opportunità a tutti, aumentare il benessere globale, senza proprietà privata, senza lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Penso che in Italia la commemorazione più appropriata sia stata realizzata, dall'attrice praghese Jitka Frantova, che con la regia di Daniele Salvo, ha portato in scena uno spettacolo che ricordava quelle tragiche vicende e che rendeva omaggio alla personalità morale di Jiri Pelikan che fu suo marito, uomo politico di spicco in quel tormentato periodo. Esiliato in Italia continuò a battersi per il ripristino delle libertà democratiche in Cecoslovacchia. L'esilio toccò anche a me, che allora ero molto giovane e non avevo certo l'importanza o la statura politica di Pelikan. Posso però sostenere a ragione di essere l'unica storica d'arte di origini cecoslovacche in Italia che sia stata allora processata e condannata per motivi politici.

 
21 agosto1968, «Boheme di Brno» compra, vende e affitta i carri armati sovietici (da sinistra M.Hajek, Goldflam, Trunecka, Reznicek, Cockova, Stejskal)

Secondo un mio parere, l’happening più importante lo abbiamo inventato al momento dell’occupazione sovietica il 21 agosto 1968. Quel giorno ci siamo svegliati dentro un incubo. La mattina presto anche la nostra città era stata invasa dai carri armati del Patto di Varsavia. Diversi componenti della Boheme di Brno sono venuti a casa mia ed assieme siamo andati in centro. Penso che l’esperienza fosse traumatica anche per i militari, ragazzi giovani come noi avevano ben capito che non c’era nessuna controrivoluzione in atto. Ci sembrava una situazione inconcepibile, tragicomica e abbiamo reagito d’impulso. Ci siamo organizzati in gruppi che tentavano di comprare, vendere o per lo meno affittare i carri armati sovietici per fare un giro turistico di Brno. Questo accadeva mentre il poeta Pavel Reznicek tentava di ballarci sopra il Lago dei Cigni di Cajkovskij. La gente intorno piangeva ridendo. Un amico fotografo scattava prontamente la documentazione della performance, ma purtroppo si è salvato poco, perché le foto sono state in seguito sequestrate dalla polizia. Penso che sia stata la prima e ultima volta in cui un gruppo di artisti abbia ridicolizzato un evento forse tra i più gravi, l’invasione militare di un paese pacifico e sovrano. Sempre nello spirito del movimento »Boheme di Brno », ribelle, canzonatorio e dissacrante, ma prima della invasione sovietica, fondai assieme ad Arnost Goldflam, oggi famoso drammaturgo, attore e regista, un’associazione fittizia chiamata «I Moribondi». L’idea si diffuse subito, forse perché ci sembrava di essere intrappolati in una realtà senza futuro e soffrivamo realmente di acciacchi veri o psicosomatici. Un membro della Boheme di Brno, che lavorava in una tipografia, ha provveduto a stampare le tessere. Costituimmo pure, ma solo in teoria, un comitato centrale con tutta la burocrazia relativa, per divertirci e anche per ridicolizzare l’apparato politico che soffocava il paese. I veri problemi sono sorti quando un nostro amico nel settembre 1969 venne fermato dalla polizia. Aveva in tasca la tessera dei «Moribondi ». La tessera, completa di fotografia e numerata recava anche la scritta «Si prega la cittadinanza di non restituire alla vita il proprietario di questa tessera». È logico pensare che la polizia avesse creduto di aver trovato l’organizzazione che coordinava i suicidi di protesta. Pensavano che i numeri della tessera significassero l’ordine delle immolazioni. Inoltre per tragica coincidenza nel giugno di quell’anno si suicidò Vladimir Valek, il mio compagno di università e di affetto. Le rappresaglie per la mia famiglia e i miei amici sono state pesanti e hanno toccato anche me che ero in Italia. Però noi non avevamo sicuramente il coraggio di Jan Palach, studente di filosofia, viveva come tutti noi, con grande coinvolgimento e speranza la stagione riformista della Cecoslovacchia.. Per protestare contro l’iniziativa bellica del Patto di Varsavia, Palach prima fondò un gruppo di volontari anti- URSS e successivamente decise di cospargersi il corpo di benzina in piazza San Venceslao a Praga, appiccandosi il fuoco con un accendino (16 gennaio 1969). Morì tre giorni dopo. Ai funerali parteciparono 600 mila persone provenienti da tutto il Paese. Decise di suicidarsi morendo carbonizzato, però i suoi appunti e i suoi articoli si sono salvati, perché li tenne in uno zaino molto distante dalle fiamme. Tra le dichiarazioni trovate nei suoi quaderni, spicca questa: «Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy (Zpravy vuol dire 'Notiziario', il giornale delle forze d’occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà». Questo clima portò a drammatiche conseguenze: tanti altri giovani, tra cui l’amico Jan Zajíc, seguirono il suo esempio e si tolsero la vita, nel silenzio degli organi d’informazione, controllati dalle forze d’invasione. Grazie a questo gesto estremo Palach venne considerato come eroe e martire. In molte città di varie nazioni gli furono intitolate strade. Anche la Chiesa Cattolica lo difese, affermando che «Un suicida in certi casi non scende all’Inferno » e che «non sempre Dio è dispiaciuto quando un uomo si toglie il suo bene supremo, la vita». Un atto di sacrificio estremo che ai cechi ricorda quello di Jan Hus, viene spesso strumentalizzato politicamente senza comprendere, che il suo messaggio «bisogna difendere la verità» sia rivolto a tutta l’umanità senza colori e partiti. La presa di coscienza e la riflessione della intellighenzia Cecoslovacca sulle degenerazioni del cosiddetto socialismo o comunismo reale è iniziata nel 1968 con un articolo «duemila parole» scritto da Ludvik Vaculik e apparso nella rivista «Literarni listy». Questo processo di voler umanizzare il regime non ha riscosso in occidente un grosso consenso.

Paradossalmente in quegli anni i cosiddetti progressisti di sinistra giovani e non, preferivano supportare moralmente ciò che c’era di più aberrante e crudele nei regimi comunisti. Da uno sguardo superficiale non comprendevano che le deviazioni erano spesso tramandate dai regimi precedenti come quello zarista o nazista per non parlare di Mao Tze Tung. L’impulso di ripulire il partito comunista cecoslovacco dalle incrostazioni introdotte specialmente dai personaggi cosiddetti voltagabbana o riciclati ha spaventato alcune persone. Da ciò nacque l’iniziativa di cinque individui facenti parte di una piccola frangia stalinista del partito comunista ceco. Terrorizzati di perdere il loro potere invitarono i sovietici ad intervenire con le armi usando il pretesto di voler salvare il comunismo, sostenendo falsamente, che ci fosse in corso una controrivoluzione. Guardando questo avvenimento con un distacco di quarant’anni si riesce a cogliere meglio gli aspetti paradossali della loro iniziativa. Non solo non sono riusciti a salvare il comunismo ma hanno dato l’inizio al suo sfacelo morale ed economico. In più sono persino riusciti a smentire Karl Marx, che sosteneva che la storia la costruiscono le masse e non i singoli individui Nel giro di un attimo, il tentativo di migliorare la società fu represso militarmente dalle truppe dell’Unione Sovietica e degli altri paesi che aderivano al Patto di Varsavia, con la sola eccezione della Romania. Le reazioni delle sinistre dei paesi occidentali ci lasciarono sgomenti. Non ci si aspettava l’indifferenza di tanti intellettuali alle rappresaglie che subirono persone che avevano l’unica colpa di volere un comunismo dal volto umano durante i vent’anni della cosiddetta «normalizzazione» che seguì l’invasione. Lo scrittore ceco Pavel Kohout lo ha indicato come il fallimento dell’intellighenzia delle sinistre occidentali, addicendo un ragionamento lineare: «loro se protestavano non rischiavano sicuramente di essere deportati in Siberia ». Anche nella ex Cecoslovacchia, però, l’argomento della Primavera di Praga è ancora dolente. L’esperienza di quei mesi, il cambiamento veloce e positivo del sistema economico, il clima di entusiasmo ed il senso di rinascita ha segnato tutti noi che l’abbiamo vissuto. Mi capita, quando torno a Praga, di spolverare i ricordi con vecchi amici di allora e mio figlio che non ne può più mi dice «ma come siete noiosi voi con quella storia di Primavera di Praga vi piaceva perché eravate giovani». Al che io gli rispondo: «guarda che noi eravamo giovani anche prima e dopo». Inoltre ci è rimasta la curiosità di come l’esperienza si sarebbe potuta evolvere e come potrebbe essere oggi quel paese senza quell’intervento militare.

 
 
 
 
 

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