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L’artista dei colori
di Ada Celico
Ho conosciuto Maria Amalia Cangiano nel 2006, a una cena tra amiche, al di fuori, perciò, della ribalta dell’arte, di cui lei era già protagonista. Un sorriso caldo e colorato mi svelò subito la donna che è. L’artista la conobbi dopo. E mi piacque. Era nata un’amicizia.
Mi ero appena trasferita a Milano. Da un Sud calabrese pieno di odori e colori. Affetti. Familiarità. Mi sentivo sperduta. Lei, nata nella provincia avellinese, seppure da molti anni a Milano, mi riportava un po’ di quei colori e sapori. Mi introdusse con determinazione nella Milano che ora amo: - Ada, c’è una mostra stupenda, devi assolutamente vederla!- Io, da sempre abituata al mondo della carta stampata, dei libri, degli incontri letterari, mi affacciai così all’universo dell’arte visiva. Pittura, scultura, fotografia. Installazioni. Una scoperta non da poco. Ora, in occasione della sua personale allo Spazio Tadini, mi faccio amica che trascrive il suo pensiero artistico. Decidiamo, sollecitate da Melina Scalise, di fare questa intervista. Entusiaste. Quasi si trattasse di una cosa che prima o poi doveva accadere. In questi quattro anni più volte ho raccolto le sue parole appassionate, circa il lavoro che in quel determinato momento stava facendo. Adesso si tratta solo di riportare sulla carta tutto il nostro parlare. Quelle che tante volte sono state mie domande e le sue risposte chiare. Tutto naturale. Tutto consequenziale. Che ci vuole?
Sembra facile.
Ma poi lei mi guarda un po’ perplessa: - Cosa devo dirti che non ti ho detto altre volte?
Tutto. Rispondo. Delle tue opere ne conosco solo una parte. Decidiamo che è meglio vederle dal vivo. Tante le ho viste solo in fotografia o stampate da qualche parte. Le ultime di questi mesi non le conosco ancora. Ci spostiamo nel suo studio. Si apre un sipario di gioia. E tutto ridiventa naturale.
La mia pittura parte dal cuore, non solo in senso simbolico, perché dentro ci metto davvero sentimenti forti ed emozioni, ma anche e soprattutto in senso figurativo.
Difatti, grossi cuori, realizzati nei materiali più vari e con tecniche miste, con le quali Maria Amalia Cangiano manipola la cartapesta, la tempera, le colle, troneggiano in teche trasparenti o su piatti da portata, con tanto di forchetta e coltello…
Questa che vedi è “Uomo mangia uomo”, un’opera nata dal tema “Lame d’artista”, decima edizione di Arte da mangiare, Milano.
L’opera è la rappresentazione visiva di come un cuore possa essere “mangiato”. Dietro c’è tutta la tematica del sentire emozionale, delle palpitazioni romantiche, delle attese struggenti. Sentimenti che all’inizio di un innamoramento condividiamo con l’altro. Poi, molto spesso, il cuore offerto e nudo, dato all’altro nella genuinità e nell’ingenuità di un amore, rimane su quel piatto, oggetto e soggetto scarnificato, esposto.
Immagino che anche le altre opere, questo cuore coperto di ghiaccio, e quest’altro infilzato da schegge trasparenti, facciano parte della stessa tematica e quindi di un’unica ricerca artistica.
È così. Il cuore “coperto di ghiaccio”, come dici tu, ha per titolo Il cuore non invecchia mai, come affermazione del fatto che i sentimenti sono eterni, sia perché immutati e tramandati nei secoli, di generazione in generazione, sia perché appartenenti a qualunque età dell’essere umano. Ci si può innamorare a vent’anni come a settanta, e questa è una bella opportunità che la vita regala.
Amalia, la cosa che mi colpisce di te è che nella tua solarità, nel tuo pensiero positivo, entrambi reali e veramente connaturati nel tuo essere, spesso presenti la tua opera come qualcosa di gioioso, un gioco, quasi volessi prendere nettamente le distanze dai cosi detti “Artisti maledetti”, da coloro che vivono l’arte in modo più cupo, forse perché ritengono che debba essere tormento, esasperazione, maledizione…
La mia arte, o meglio il mio fare arte, nasce sempre da un pensiero positivo, non perché nel mondo non ci siano brutture e dolore, ma perché, a mio parere, per sopravvivere in questa vita per niente facile, estremamente complessa e complicata, bisogna adottare un punto di vista positivo. Io lo faccio nella mia sfera privata e di conseguenza cerco di trasmetterlo anche in ciò che produco artisticamente.
Difatti, Amalia, il tuo impegno sociale è evidente nelle tematiche che hai affrontato in molte tue opere. Mi riferisco a Cannibalismo: morte in lista d’attesa.
Si tratta di una installazione e di una performance, realizzate nel fossato del Castello Sforzesco di Milano, nell’ambito della rassegna “Arte da mangiare: Cannibalismo”, create e messe in atto per denunciare, attraverso il medium artistico, il traffico di organi e quindi l’uccisione di bambini che molto spesso vivono in Paesi meno fortunati del nostro.
Di questo filone fa parte anche Reportage?
Certo, Reportage è un’opera di denuncia sociale contro la mafia, dove, sul percorso di una spirale, le figure dei mafiosi armati vengono ostacolate e bloccate da quelle dei personaggi positivi, che protestano contro di essi. Opera realizzata in occasione della mostra ”Arte per la legalità”.
La tua ricerca, partita dal cuore, è sfociata man mano verso un “altro cuore”. Mi riferisco alle opere di questi ultimi anni in cui compare, appunto, la spirale, che potremmo definire “cuore del cosmo” o “cuore dell’universo”?
Anche la spirale, a pensarci bene, compare già in alcune mie opere iniziali. Probabilmente perché sentivo, a livello inconscio, come spesso accade agli artisti, che questa era la strada da percorrere e il segno a cui ispirarmi, per tirar fuori ed esprimere visivamente quanto avevo dentro, sia come donna che come creatrice d’arte.
Ecco, sì, volevo chiederti proprio della donna, fulcro di questi lavori. Del fascino e dell’attrazione che queste minuscole figure colorate e variegate suscitano in chi le guarda. Mi sembra che molte di queste opere siano state scelte anche come immagini pubblicitarie e manifesti ...
L’opera Infinita donna, é una delle prime di questo filone artistico, risale difatti al 2000. Segue, nel 2008, Ma-donne, creata dietro una proposta dello Spazio Tadini, e poi scelta come icona dal Centro Asteria, per la rassegna di cinema “Donne, artiste della vita”. In questa opera la donna è rappresentata nei suoi infiniti ruoli, proprio per come le viene chiesto, soprattutto nella società di oggi. Ho lavorato ancora su una spirale nell’opera, Ballando…Ballando, creata per il “Festival Coreografie d’arte”, di OpificioTrame e Spazio Tadini.
Su un tavolo dello studio di Maria Amalia Cangiano, cattura lo sguardo un’opera non ancora ultimata, a cui l’artista sta lavorando. È una allegoria di forme e colori, il cui soggetto è rappresentato ancora dalla donna. Una donna “speciale”, uno degli archetipi della femminilità, la donna strega.
Si tratta di una simbologia di donna che sembra lontanissima e invece è tutt’ora presente nell’immaginario comune. Le cosiddette Streghe erano donne che hanno pagato con la tortura e il rogo, il loro essere “diverse”. Donne che sapevano di arte e di erbe, e che spesso facevano nascere la vita, aiutando le donne comuni a partorire. In questo lavoro ho scelto la doppia spirale, così che la Strega converge e si attualizza in una donna sfacciatamente erotizzata.
Dunque un emblema di donna bastante a se stessa? O, una ricercata utopia, estremizzata per sottolineare che sulla scena della vita le figure convergenti sono comunque due, anche se in questo lavoro, l’uomo, o meglio, l’elemento maschile non compare?
Amalia risponde con un sorriso. Da buona partenopea. E questo mi sembra veramente in linea col suo pensiero positivo.
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