Spazio Tadini incontra Maria Amalia Cangiano

 

di Melina Scalise

 

Quando abbiamo incontrato Maria Amalia Cangiano e  conosciuto il suo lavoro, abbiamo scoperto un’ironica capacità di rilettura dell’universo simbolico femminile legato alla rappresentazione dei sentimenti.

Cuori, merletti, fuochi, passamanerie, nidi, seduttivi serpenti, orsacchiotti, gabbie dorate e così via diventano opere che sembrano appartenere a una specie di circo del sentimento.

Amalia reinterpreta questi simboli in modo grottesco, caricaturale, fino a sfiorare il kitsch. Si prende gioco di tutta quella simbologia femminile che appartiene alle favole, al Paese dei Principi Azzurri, alle Eve seduttrici, alle bambole coi vestitini di pizzo, agli animali antropizzati.

Cuori in tutte le salse, dunque e pizzi e paillettes di tutti i colori a sottolineare un mondo fantastico che è appartenuto a tutte le donne, anche quelle che non si ricordano, o preferiscono non ricordare, di essere state bambine. Un universo femminile dal quale comunque dipendono e dal quale, col tempo, ci si sente tradite e ci si allontana: i Principi Azzurri a volte si rivelano Orchi o Nani e le donne si trasformano in Acrobate, Matrigne o Streghe.

Il mondo dorato di Maria Amalia Cangiano è un elogio al mondo delle Fate al quale si rimane ancorate intrise di malinconia, ma dal ci si deve allontanare per non diventare vittime, per non essere solo bambole. Un mondo fatto di “tira e molla”, un universo giocoso che è rappresentato in particolare nei dischi dorati con spirali che Amalia compone con variopinte piccole “barbie” o balocchi attraverso la tecnica del collage.

L’effetto quasi ipnotico di questi lavori imprigiona lo sguardo dell’osservatore, ma non angoscia, non c’è paura di rimanerne imprigionati. E’ un percorso lineare dal centro verso fuori e dal fuori verso il centro, un fulcro magnetico o propulsivo che allude agli oppposti:

da una parte la seduzione e dall’altra la razionalità , da una parte la femmina, dall’altro la donna, da una parte il mondo incantato dall’altro la realtà con le sue regole.

La dimensione ludica, giocosa e ironica è un filo conduttore di tutto il percorso artistico di Maria Amalia Cangiano.

Un aspetto intrinseco al suo carattere, al suo modo di essere, forse alle sue radici partenopee, dove la ritualità della magia si mischia con la sacralità di un cuore votivo. Una vita comunque a colori dove dominano i rossi della passione, gli ori dei rituali alchemici, i luccichii delle paillettes e, nella quale, le favole si ripropongono, restando a portata di mano per sognare anche da grandi. Perché, in fondo, nessuno dovrebbe dimenticarsi di essere stato bambino.

 
 
 

L’artista dei colori

di Ada Celico

Ho conosciuto Maria Amalia Cangiano nel 2006, a una cena tra amiche, al di fuori, perciò, della ribalta dell’arte, di cui lei era già protagonista. Un sorriso caldo e colorato mi svelò subito la donna che è. L’artista la conobbi dopo. E mi piacque. Era nata un’amicizia.
Mi ero appena trasferita a Milano. Da un Sud calabrese pieno di odori e colori. Affetti. Familiarità. Mi sentivo sperduta. Lei, nata nella provincia avellinese, seppure da molti anni a Milano, mi riportava un po’ di quei colori e sapori. Mi introdusse con determinazione nella Milano che ora amo: - Ada, c’è una mostra stupenda, devi assolutamente vederla!- Io, da sempre abituata al mondo della carta stampata, dei libri, degli incontri letterari, mi affacciai così all’universo dell’arte visiva. Pittura, scultura, fotografia. Installazioni. Una scoperta non da poco. Ora, in occasione della sua personale allo Spazio Tadini, mi faccio amica che trascrive il suo pensiero artistico. Decidiamo, sollecitate da Melina Scalise, di fare questa intervista. Entusiaste. Quasi si trattasse di una cosa che prima o poi doveva accadere. In questi quattro anni più volte ho raccolto le sue parole appassionate, circa il lavoro che in quel determinato momento stava facendo. Adesso si tratta solo di riportare sulla carta tutto il nostro parlare. Quelle che tante volte sono state mie domande e le sue risposte chiare. Tutto naturale. Tutto consequenziale. Che ci vuole?
Sembra facile.
Ma poi lei mi guarda un po’ perplessa: - Cosa devo dirti che non ti ho detto altre volte?
Tutto. Rispondo. Delle tue opere ne conosco solo una parte. Decidiamo che è meglio vederle dal vivo. Tante le ho viste solo in fotografia o stampate da qualche parte. Le ultime di questi mesi non le conosco ancora. Ci spostiamo nel suo studio. Si apre un sipario di gioia. E tutto ridiventa naturale.

La mia pittura parte dal cuore, non solo in senso simbolico, perché dentro ci metto davvero sentimenti forti ed emozioni, ma anche e soprattutto in senso figurativo.

Difatti, grossi cuori, realizzati nei materiali più vari e con tecniche miste, con le quali Maria Amalia Cangiano manipola la cartapesta, la tempera, le colle, troneggiano in teche trasparenti o su piatti da portata, con tanto di forchetta e coltello…

Questa che vedi è “Uomo mangia uomo”, un’opera nata dal tema “Lame d’artista”, decima edizione di Arte da mangiare, Milano.

L’opera è la rappresentazione visiva di come un cuore possa essere “mangiato”. Dietro c’è tutta la tematica del sentire emozionale, delle palpitazioni romantiche, delle attese struggenti. Sentimenti che all’inizio di un innamoramento condividiamo con l’altro. Poi, molto spesso, il cuore offerto e nudo, dato all’altro nella genuinità e nell’ingenuità di un amore, rimane su quel piatto, oggetto e soggetto scarnificato, esposto.

Immagino che anche le altre opere, questo cuore coperto di ghiaccio, e quest’altro infilzato da schegge trasparenti, facciano parte della stessa tematica e quindi di un’unica ricerca artistica.

È così. Il cuore “coperto di ghiaccio”, come dici tu, ha per titolo Il cuore non invecchia mai, come affermazione del fatto che i sentimenti sono eterni, sia perché immutati e tramandati nei secoli, di generazione in generazione, sia perché appartenenti a qualunque età dell’essere umano. Ci si può innamorare a vent’anni come a settanta, e questa è una bella opportunità che la vita regala.

Amalia, la cosa che mi colpisce di te è che nella tua solarità, nel tuo pensiero positivo, entrambi reali e veramente connaturati nel tuo essere, spesso presenti la tua opera come qualcosa di gioioso, un gioco, quasi volessi prendere nettamente le distanze dai cosi detti “Artisti maledetti”, da coloro che vivono l’arte in modo più cupo, forse perché ritengono che debba essere tormento, esasperazione, maledizione…


La mia arte, o meglio il mio fare arte, nasce sempre da un pensiero positivo, non perché nel mondo non ci siano brutture e dolore, ma perché, a mio parere, per sopravvivere in questa vita per niente facile, estremamente complessa e complicata, bisogna adottare un punto di vista positivo. Io lo faccio nella mia sfera privata e di conseguenza cerco di trasmetterlo anche in ciò che produco artisticamente.

Difatti, Amalia, il tuo impegno sociale è evidente nelle tematiche che hai affrontato in molte tue opere. Mi riferisco a Cannibalismo: morte in lista d’attesa.

Si tratta di una installazione e di una performance, realizzate nel fossato del Castello Sforzesco di Milano, nell’ambito della rassegna “Arte da mangiare: Cannibalismo”, create e messe in atto per denunciare, attraverso il medium artistico, il traffico di organi e quindi l’uccisione di bambini che molto spesso vivono in Paesi meno fortunati del nostro.

Di questo filone fa parte anche Reportage?

Certo, Reportage è un’opera di denuncia sociale contro la mafia, dove, sul percorso di una spirale, le figure dei mafiosi armati vengono ostacolate e bloccate da quelle dei personaggi positivi, che protestano contro di essi. Opera realizzata in occasione della mostra ”Arte per la legalità”.


La tua ricerca, partita dal cuore, è sfociata man mano verso un “altro cuore”. Mi riferisco alle opere di questi ultimi anni in cui compare, appunto, la spirale, che potremmo definire “cuore del cosmo” o “cuore dell’universo”?

Anche la spirale, a pensarci bene, compare già in alcune mie opere iniziali. Probabilmente perché sentivo, a livello inconscio, come spesso accade agli artisti, che questa era la strada da percorrere e il segno a cui ispirarmi, per tirar fuori ed esprimere visivamente quanto avevo dentro, sia come donna che come creatrice d’arte.

Ecco, sì, volevo chiederti proprio della donna, fulcro di questi lavori. Del fascino e dell’attrazione che queste minuscole figure colorate e variegate suscitano in chi le guarda. Mi sembra che molte di queste opere siano state scelte anche come immagini pubblicitarie e manifesti ...

L’opera Infinita donna, é una delle prime di questo filone artistico, risale difatti al 2000. Segue, nel 2008, Ma-donne, creata dietro una proposta dello Spazio Tadini, e poi scelta come icona dal Centro Asteria, per la rassegna di cinema “Donne, artiste della vita”. In questa opera la donna è rappresentata nei suoi infiniti ruoli, proprio per come le viene chiesto, soprattutto nella società di oggi. Ho lavorato ancora su una spirale nell’opera, Ballando…Ballando, creata per il “Festival Coreografie d’arte”, di OpificioTrame e Spazio Tadini.

Su un tavolo dello studio di Maria Amalia Cangiano, cattura lo sguardo un’opera non ancora ultimata, a cui l’artista sta lavorando. È una allegoria di forme e colori, il cui soggetto è rappresentato ancora dalla donna. Una donna “speciale”, uno degli archetipi della femminilità, la donna strega.

Si tratta di una simbologia di donna che sembra lontanissima e invece è tutt’ora presente nell’immaginario comune. Le cosiddette Streghe erano donne che hanno pagato con la tortura e il rogo, il loro essere “diverse”. Donne che sapevano di arte e di erbe, e che spesso facevano nascere la vita, aiutando le donne comuni a partorire. In questo lavoro ho scelto la doppia spirale, così che la Strega converge e si attualizza in una donna sfacciatamente erotizzata.

Dunque un emblema di donna bastante a se stessa? O, una ricercata utopia, estremizzata per sottolineare che sulla scena della vita le figure convergenti sono comunque due, anche se in questo lavoro, l’uomo, o meglio, l’elemento maschile non compare?

Amalia risponde con un sorriso. Da buona partenopea. E questo mi sembra veramente in linea col suo pensiero positivo.

 
 
 

Le spirali

di Stefanella Sposito

Archetipo ricorrente in molte culture, antiche e moderne è riconducibile alla più generica forma del cerchio, da cui se ne discosta elaborando un andamento dinamico che s’irradia da un unico punto centrale, formando una sequenza di anelli concentrici. Una lunga striscia curva che si avvolge a voluta, con effetti regolari orientati dall’interno verso l’esterno.
La forma può anche essere letta all’inverso, con movimento contrario che si avvicina progressivamente verso il centro. Già questo schema formale suggerisce, di per sé, lo sviluppo di forze in espansione, un’idea connessa all’energia dell’universo che pulsa.
Da una prima ipotesi sull’origine cosmologica, con riferimenti al fenomeno celeste delle nebulose a spirale e della stella primordiale: il sole, approdiamo al concetto di “ciclicità della vita” e del suo ineluttabile divenire.
Una doppia traiettoria spiraliforme apparente, che il sole compie nel cielo durante il corso dell’anno solare, sembra materializzarsi nella rappresentazione di quei caratteri divini che l’uomo primitivo non avrebbe saputo spiegarsi altrimenti.
Un simbolo magico, dunque. D’altronde la sfera, espressione di pienezza, totalità e perfezione, ben rappresenta il complesso rapporto tra l’uomo e la globalità della natura nei suoi variegati aspetti. Fin dai albori egli si è avventurato in un complesso itinerario verso un’accresciuta consapevolezza di sé e la costruzione di un’idea del mondo che conferisse senso e ragione alla sua permanenza terrena.
La riflessione sui fenomeni naturali ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione della sua identità personale, culturale e filosofica.
Osservando i gorghi, i mulinelli d’acqua nei torrenti, non si può non pensare a quella energia della materia in perenne movimento che è un po’ la metafora della vita stessa, del tempo nel suo fluire avanti e indietro. E che dire di certe forme zoomorfe come i gusci di chiocciole e conchiglie, come le corna ritorte di montoni e arieti, la cui visione suggerisce di cogliere l’andamento spiralirorme come una “traccia evolutiva”. Anche i viticci d’uva o delle felci, i flessuosi rami d’acanto, si sviluppano secondo una progressione geometrica che può essere accostata alla spirale. Forme nuove si sono sempre aggregate alle antiche quali segni collettivamente condivisi che l’uomo istintivamente replica nel suo fare artistico.
Pensiamo a quegli artigiani dalla particolare sensibilità tattile, che hanno familiarità con l’arte del modellare a tuttotondo, facendo ruotare sul piatto la creta informe ed umida. E nel movimento la mano incide e decora oltre che forgiare. Pensiamo alle abili mani delle cestaie di ogni latitudine geografica, che ancora intrecciano intorno ad un fulcro, fasci di saggina, sparto o midollino, alternando colori, spessori e consistenze, per realizzare
i più disparati contenitori. Pensiamo alla lavorazione della maglia a quattro ferri con cui le contadine confezionavano spesse calze di lana da infilare sotto i pesanti zoccoli di legno. Molte di queste attitudini umane avvalorano la tesi dell’origine tecnologica della decorazione e non solo.
Nella definizione tanto della forma quanto del decoro, mettono l’accento sul percorso, che deve lasciare una sua orma percorribile, un disegno praticabile, accessibile appunto. Un tragitto raccontato: la narrazione segnica. E che cosa fa il ragno quando, con spontanea perizia, tesse la sua fragile tela, una sorta di “spirale generatrice”, secondo uno schema che ha molte affinità con la fillotassi ( serie di punti in cui le foglie s’impiantano nel germoglio)? Predispone il suo progetto. Lo stesso progetto che la navetta nelle mani della fedele sposa Penelope faceva e disfaceva, nella vana speranza di combattere contro il tempo!
Le spirali di Maria Amalia Cangiano hanno come punto generatore il cuore. E come traccia un’acuta sensibilità umana: il suo sentire contemporaneo, perfettamente calato nella realtà. Chi segue da anni tutto il suo lavoro ha imparato a riconoscere questo elemento come tratto essenziale ricorrente e trasversale.
L’artista muove la sua ricerca interiore partendo dal centro come nucleo prioritario ed indispensabile e l’energia che da esso si sprigiona è di tipo emozionale.
Lo dicono i colori caldi, l’impiego onnipresente di materiali brillanti, l’uso del gioco, una certa modalità ironica ed al tempo stesso rispettosa di una regola, come tutti i giochi che si rispettino, con cui Maria Amalia si accosta agli aspetti dell’esistenza.
Forza e fragilità, trovano il loro punto d’equilibrio, come opposte tendenze in fluido divenire, come maschio e femmina sensualmente avviluppati nelle laboriose coreografie della vita. Neonati, bambini, adolescenti, giovani, adulti ed anziani, minuziosamente abbigliati con ritagli di tessuti veri, quali nodi essenziali che marcano il passo nell’iter inesorabile del tempo, compongono un popoloso puzzel umano.
Istinto e coscienza, principi complementari della propria appartenenza di genere, tratteggiano una femminilità declinata in tutte le plausibili sfaccettature, dove donne di tutti i giorni e madonne angelicate convivono con streghe, studentesse, ballerine, crocerossine, nonne. Ed è proprio questo movimento, disciplinato da regole matematiche, che scandisce con leggerezza rassicurante lo svolgersi dei cicli, il susseguirsi degli eventi, il riproporsi dei fenomeni. Sempre uguali, ma anche diversi, come le figurine applicate a collage e dipinte, che si susseguono in fila indiana nelle composizioni della Cangiano. E così come avviene per gli eventi, di esse vi è ricordo, vi è testimonianza, vi è traccia concreta e tangibile.
Non a caso Jackob Bernoulli un matematico vissuto intorno alla fine del 1600, avendo dedicato molti anni della sua esistenza allo studio della spirale logaritmica, si fece scolpire sulla pietra tombale, la frase : “Eadem mutata resurgo” (tr. dal latino: Benchè mutata, rinasco identica). Maria Amalia Cangiano ha ragione quando afferma che “la struttura spiraliforme ti libera dal peso della vita, con il suo movimento ripetitivo ed il suo ancoraggio al centro”. E’ una sorta di esercizio costante tra l’ardire ed il rimanere, tra passato e presente.
Mentalmente è un istante che rimane un po’ sospeso, intimo, soggettivo, che può durare un attimo o un’eternità. “Ha un aspetto sacrale, mistico, quasi iniziatico, se è vero che è stata anche accostata al viaggio interiore, cammino da seguire per entrare in se stessi e trovare la propria illuminazione.
Io l’interpreto come una meditazione visiva che si protrae temporalmente lungo tutto il suo percorso, perché questo, a volte, è persino più importante della meta”, dichiara l’artista, riallacciandosi anche alle proprie esperienze nell’esercizio della pratica buddista.
La mente corre ai giardini Zen dove solchi concentrici impressi sulla sabbia dal rastrello creano un percorso uniforme e senza interruzioni. E la concentrazione più totale si ottiene proprio con la creazione del giardino. Lo stesso dicasi di alcune grandi spirali commisurate con l’ambiente con cui si integrano alcune espressioni di Land Art, o i crop circles, grandi figure geometriche delineate in modo inspiegabile nei campi di cereali e visibili soltanto dall’alto. In tutte queste immagini ritroviamo la spirale come segno evolutivo di crescita e rinnovamento e senz’altro di mistero, se guardiamo attentamente il Disco di Festo, ( Isola di Creta) una sorta di piccola ruota in terracotta che reca impressi, su entrambe le sue due facce, sigilli geroglifici in sequenza spiraliforme: una vera e propria rappresentazione testuale. “E’ un simbolo molto forte, che racchiude istantaneamente una dimensione spazio-temporale, un po’ come il gesto all’interno della danza.” aggiunge M. Amalia Cangiano, “Vi ritrovo una valenza fecondatrice, anche in quanto donna: energia di vita che si libera. Forse anche una spinta propulsiva verso un processo creativo ed immaginifico, che non sai esattamente dove ti porterà, ma che vivi come impellente, necessario, doveroso, oserei dire.
Lo percepisco intensamente anche come artista che attraverso le personali emozioni e il proprio istinto s’interroga sui misteri di molte cose“.
Scavando nelle pieghe del simbolo troviamo altre interpretazioni e significati, altre derivazioni che da esso prendono corpo. Alcuni studiosi, che hanno esaminato le raffigurazioni incise o dipinte nelle grotte di epoca neolitica, affermano che nelle culture arcaiche la spirale potrebbe delineare una forma di dilatazione e simboleggiare l’estensione o l’influenza del dominio e del potere.
La Dea dei Serpenti, figura femminile emblematica della civiltà minoico-cretese, è rappresentata in alcune statuette mentre brandisce nelle mani due serpenti che le si avviluppavano intorno alle braccia come due bracciali a forma di spirale. E le sacerdotesse votate al suo culto hanno vesti con decori spiraliformi e capelli inanellati a boccolo.
Ed è proprio il serpente a prediligere questo andamento quando si avvolge sinuoso su se stesso o striscia sugli alberi porgendo ad Eva la mela del peccato.
Un’altra accezione della spirale è legata alla carnalità, al peccato, al sesso e alla trasgressione. Si dice che, per affermare la loro fede nella continuità della vita e penetrare più intimamente nei misteri del Sacro, le streghe danzanti in gruppo scandiscano il loro movimento secondo un percorso a doppia spirale.
Lo spazio così delimitato dovrebbe esemplificare, con i rispettivi centri delle due spirali, i giorni degli equinozi, mentre le parti più esterne indicarne i solstizi. Una mappa per segnare il proprio territorio e al tempo stesso connettersi con l’infinito.
Flusso, energia, respiro, ritmo, traccia, movimento, armonia, ciclicità, equilibrio ed armonizzazione dei contrasti e degli opposti rimangono nella realtà ben distinti e solo nella nostra mente si possono ricomporre in un tutto unico.


 
 
 
 

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