|
|
Franco Marrocco
di Claudio Rizzi
Dalla terra di nascita ha tratto in dote l'ironia e un terapeutico senso di demitizzazione delle cose, della soddisfazione come del disagio. Ben lontano da ogni drammatizzazione, riporta tutto e subito alla normalità, come sottintendere, con tutta naturalezza, che domani è un altro giorno. Gioca seriamente ed è una serietà giocosa: afferma che nell'arte deve sussistere anche il senso ludico ma l'arte per lui è la vita, dunque lo spirito ludico deve permeare l'esistenza. Davanti all'obiettivo fotografico si diverte ed assume espressioni accigliate ma confessa subito di non sapere interpretare la parte e nemmeno le sue bambine gli credono quando aggrotta le sopracciglia per fare il cattivo. Pacato nel dialogo, anima un linguaggio immaginifico, narrativo e metaforico, evocando tempi e luoghi diversi, ottenendo un'affabulazione colorata. All'apparente semplicità del fare corrisponde un rigore intransigente nel lavoro. Non solo nella procedura di tecnica e manualità ma nell'impostazione razionale, nella precisione di ogni rapporto, nell'equazione imperativa tra gesto e intelletto. Ne sono testimoni le tele appese alle pareti dello studio, risolte ma sempre sotto esame, sottoposte al suo sguardo di indagine e di critica. La cancellazione di parti e materie dei quadri rientra nel metodo e risulta quasi condanna o destino. Nel dialogo intimo, nel silenzio connivente delle stanze di lavoro, Marrocco affievolisce, annulla e vela, quasi necessità tattile di un confronto continuo, mai sazio o emotivamente distaccato. Dalla pittura di tradizione, dalla figura e dal corpo di estrazione classica, ha delineato un percorso costellato da suggestione e astrazione dall'immagine, concedendo semmai lontane e personali allusioni. Si aprono territori poetici che lui ancora definisce come chiari riferimenti naturalistici ma all'osservatore risuonano come motivo di evocazione e invito all'interpretazione soggettiva. Forse per questo, talvolta, Marrocco si diverte a nascondere una parte del dipinto. Perché almeno quello sia tutto suo, indiscutibile in quanto non visibile, celato a tutti 58 e leggibile solo a lui, tra memoria e sentimento. E dice proprio così, "nascosto", sotto un altro strato di pittura. Semmai, concessione massima, lascia alcuni punti scoperti nello strato esteriore, per vedere, per capire, per indovinare cosa sia nello scrigno occulto. Ora la sua lotta titanica e divertita si sfoga contro la profondità in pittura: la ama eppure cerca di annullarla. Apparente controsenso, il principio si rivela ardito quanto appropriato: nell'asserzione di annullamento si ribadiscono presenza e rilievo della dimensione. Comunque sia, che una simile pulsione si riversi sulla tela è un bene per la famiglia. Senza rinunciare alla sobrietà ma senza dimenticare la facezia per il dialogo costruttivo con gli allievi, a Brera è titolare della cattedra che appartenne nel tempo a Carpi, Carrà, Funi e, via via nel corso dei decenni, ad altri artisti di alto profilo. Ma non ne fa ostentazione. Piuttosto ricorda con ammirazione un vecchio maestro quando gli disse che se riesci a dare una ragione alla tua vita trovi il senso dell'esistenza. Ha metabolizzato quell'insegnamento e oggi lo diffonde e lo condivide con chi voglia brindare alla serenità.
|
|