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Grazia Gabbini
di Claudio Rizzi
"Paper moon" era titolo di un famoso film in anni ormai lontani. La luna accessibile, il tocco del cielo con un dito, la conquista della fantasia. Nella prefazione al catalogo di una mostra recente, Grazia Gabbini accende una storia di sé e di carta. È un testo poetico, o meglio, poesia in forma di prosa. Intenso, autentico, autobiografico. Sulla scena compare un sacchetto di carta, evoca Grazia adolescente, suo padre e i profumi della mattina di domenica. Una volta, cento volte, il padre esce di casa recando il sacchetto richiuso e il silenzio d'assenza annulla l'attesa del giorno festivo. Solo dopo, soltanto poi, la ragazzina venne a sapere che il sacchetto custodiva dolci e dolcezze per una persona inferma che il padre ogni settimana allietava di presenza. Corrisposero comprensione e perdono ma non colmarono il senso di vuoto. Grazia Gabbini ha sorriso, ha distrutto quel sacchetto, l'ha animato e l'ha ricomposto tra le mani mille e mille volte. Lei non poteva avere la luna perché altri, all'apparenza bisognosi più di lei, necessitavano di tempo d'attenzione e luce dello sguardo. Un testo profondo come pagine di diario. Confessione d'amore, dialogo intimo. Quel sacchetto è divenuto luogo dei suoi giorni. Macerato, compresso, ridotto alla fibra, è il materiale di supporto per ogni processo successivo. 76 Motivo conduttore di suggestione, memoria e irreale. Un territorio di fantasia poetica, metafora di racconto o esorcizzazione del dolore. Nello studio danzano colori palpitanti di vivacità, recupero di giorni inespressi ma nella consapevolezza di mediata lettura. La coscienza di maturità non finge con la fanciullezza sembiante dei rossi e dei blu dislocati sul pavimento come disordine dell'adolescenza, vive intima dimensione. Sono lavori, sono sculture, parlano di gioco ma sono espressioni sentite, dialoghi della notte, riflessioni allo specchio. Sono nidi, o mappe, o matite, oppure totem come simulacri di riferimento. Le mani corrono sulla carta, accartocciano e ravvivano quei sacchetti, li condensano in sintesi, parte integrante di un racconto vecchio e nuovo. Mani ferme nel malleare il filo autobiografico che si colora di vitalità e si patina di ricordo. Il risultato è il suo ritratto. Sorridente ma estremamente serio. Pacato, equilibrato ma vibrante come corda di violino. Grazia Gabbini cura i particolari con accuratezza sovrana, il dettaglio risulta fondamentale quanto il concetto, la precisione è alla radice delle cose e nello spartito può irrompere spontaneo solo il rapido stacco di inattesa ironia. Contenuta ma connaturale, le si addice nella repentina accensione espressiva, nei colori dello sguardo e del divertimento. Allora risuonano il sapore del gioco, il piacere del dialogo e la soddisfazione del fare. La parola dichiarata oltre il sentimento recluso. Alcune frasi, anche semplici comunicazioni di ordinario tenore, contengono un'eleganza che induce a pensare a pagine scritte e celate, scrigno letterario e interiore, percorso parallelo alle vie della pittura e profondo come riflessioni nel silenzio. Di questo Grazia Gabbini non dice, semmai confessa un antico amore per i fumetti classici e con tale rivelazione allontana altri quesiti. Con la gentilezza del commiato, torna al suo mondo fiabesco di materiali, strumenti e colori. Per forgiare ancora e per offrire, a chi vorrà, il calore di una luna di carta.
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