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Pierantonio Verga
di Claudio Rizzi
Sembra fragile, indifeso. Ma ti accorgi che è un sasso di roccia. Esile come una citazione, in realtà è un grande racconto. Non solo perché si apre e accende pagine vivaci di memoria ed esempio ma per la sensazione che suscita, di libro da consultare come testimone autorevole. Verga indossa una taglia quarantasei ma dipinge quadri a caratura sessantotto. È bello vederlo perché non te lo aspetti. Si immaginerebbe un pittore grande e grosso, come la forza delle sue ombre, dei toni scuri nello spazio totale, del firmamento intorno alle poche stelle. Invece compare lui, Pierantonio, brevilineo di grande forza, i segni del tempo ingenerosi più dell'anagrafe, lo sguardo sereno e chiaro oltre l'ipotesi di qualsiasi domanda. La poesia era già evidente nei dipinti ma assume profilo quando lo osservi al tavolo di lettura. Semplice, immerso in uno spazio reale che oltrepassa le vetrate dello studio e percorre le strade del mondo, del sentimento. L'angelo e il poeta, ultimi titoli per i recenti cicli di lavoro, non hanno bandiera né colore della pelle. Non hanno nazione, senza confine. Dal suo angolo di Desio, Verga interpreta grande territorio di umanità, di sogno, di respiro e di attesa. Scrive lettere a chi non ha mai accettato di confessarsi, a chi cerca un confessore, a chi si nasconde nel vuoto cercando un brano di quiete. Nello studio si respira il profumo del lavoro, anni di sedimentazione del pensiero e della pittura. Non occorre osservare barattoli, colori e pennelli, è l'atmosfera che dichiara lo spessore e nell'intensità ritrae la personalità dell'uomo e dell'artista. Eppure il carattere moderato mitiga ogni rischio d'enfasi e induce toni pacati e sereni. Anche la polemica risuona nei termini della convivenza civile, evidenziando semmai l'altrui esasperazione del diritto ma rispettando gli spazi della competizione sociale. Sembra che il suo umore non possa o non debba alterarsi e davvero non si assiste 34 mai a un'impennata ma nondimeno le sue considerazioni stigmatizzano l'oggetto e puntualizzano valutazioni estremamente ferme. Dialoga Verga, con grande disponibilità, con dedizione agli allievi che ancora lo frequentano traendo esempio e consigli, con franchezza per amici e colleghi. Poi torna dentro, là dove vive, tra le carte e le tele del suo lavoro. È quello il posto della verità. Un territorio totale seppure condiviso con le pagine di percorso, affetti profondi, legami forti e un dispendio enorme per i genitori avvolti da ingrato destino ma fondamentali. Poi la famiglia, pagine nuove, costruttive nella fiducia e concrete nella fede. Ma sempre lo scrigno della pittura, il tempio della vita. Luogo del colloquio, specchio dell'anima. Autoritratto di realtà. E non importa sia definito informale.
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