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Rita Siragusa
di Claudio Rizzi
Mediterranea con inflessione camuna. Nel cinema l'accoglierebbero subito e forse senza chiedere il doppiaggio. Perché modi, voce e cadenza sono tutt'uno, in una rara miscela di spontaneità, stupore e adrenalina. Rita Siragusa è consapevole della sua favola come della certezza che chiunque è artefice del proprio cammino. Allora il sorriso della soddisfazione e la responsabilità di percorso si fondono nella volontà di partecipare intensamente alle giornate di sole, quasi esorcizzando ombre e buio perché è bello così. La casa sul panorama, le colline intorno e la distesa della città, il giardino entra nelle stanze, esterni e interni combaciano, comunione di grande respiro. Finestre senza imposte e senza tapparelle, la trasparenza del vetro e il possesso del fuori. Sculture, progetti, libri, fotografie, eppure i bambini si muovono liberamente, a proprio agio, perfettamente a bordo del mondo della madre. Sono tre, felicemente voluti, felicemente accolti e non hanno mai ritardato il percorso di Rita. Sino al traguardo, sempre, nella tensione delle curve, lei ha condotto la scena con il piacere del lavoro e l'entusiasmo della vita. Poi il fiocco azzurro. Per tutti tre. Un biberon compare tra carte e bozzetti, è testimone della quotidianità, è ritratto intimo, oltre le pagine di letteratura e di biografia. Una consuetudine evoluta nel tempo conduce Rita a scrivere appunti, annotazioni e impressioni. Sono suggestioni, momenti di attenzione e traduzione poetica, immagini e metafore. Rita Siragusa, in viaggio come in sosta, paesaggi lontani o ambito del quotidiano, trascrive istanti, percezioni, scolpisce sintesi e intuizioni, quasi diario di rimando, di confessione e dialogo pubblico. La natura campeggia al centro delle emozioni, vegetale o animale, di roccia o di cielo, è direttore d'orchestra nei moti dell'animo. 136 La luce è linfa, nel trionfo del giorno come nei riflessi della notte, quando nel silenzio del sonno familiare lei percorre casa a rintracciare brani d'ombra e riverberi di calore immaginando archetipi e figure di vita. La materia non è inerte, persino la ruggine del ferro è dotata di parola e narra antichi racconti. Come la patina di un metallo freddo accende inattese emozioni. O lo smalto asettico si tramuta in velo di pelle, di velluto e di evocazione tattile. Esile come un giunco, anche se volitiva come una quercia, Rita Siragusa non teme il confronto con il ferro e con l'acciaio, li affronta e li doma, forse ridendo, forse proponendo loro un semplice piacere, tramutarsi da rospo a principe e divenire arte e immortali. Il peso specifico diviene leggerezza e la tonnellata svetta con agilità nella fierezza dell'opera pubblica, del monumento che domina il panorama o determina l'aggregazione della gente. È bello che il successo non abbia cancellato il senso della misura e l'affermazione non abbia leso la spontaneità della giovinezza. Rita vive i giorni nella dimensione dell'anima, ride alla vita perché le è simpatica, abbraccia la sorte perché le è benevola ma non dimentica i giorni, le tappe, le ragioni del suo bene essere. E nelle confessioni rese pubbliche, ringrazia il maestro che tra i segreti del mestiere le ha additato anche i motivi della vita. È riconoscenza e sincerità ma è soprattutto un parametro di lealtà per affrontare il futuro.
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